Come evitare l’insonnia estiva

Con l’arrivo della stagione calda, dormire per molti diventa quasi un incubo, la temperatura insopportabile unita spesso all’afa non danno tregua, ma cosa fare per conciliare il sonno?

insonnia

In estate il nostro cervello produce meno melatonina e la minor quantità di questo ormone, influenza negativamente il nostro riposo notturno.
Prima di tutto seguire un’alimentazione corretta, anche se specie in vacanza è facile essere preda di cattive abitudini.
Consumate preferibilmente pasti leggeri, ricchi di proteine, sali minerali, vitamine ed aminoacidi, che rilasciano serotonina,sostanza che dona benessere e rilassamento, la sera evitate il digiuno, per non svegliarvi nel cuore della notte a causa dei crampi della fame, i cibi particolarmente piccanti, speziati o elaborati, si alla dieta mediterranea, naturalmente bere molto.
Evitate caffè, cacao o te, ricchi di sostanze quali la caffeina o la teina, che vanno a stimolare il sistema nervoso, come anche i superalcolici o il fumo, prima di mettervi a letto.
Far a meno dei cibi ricchi di sale, come patatine, alimenti in scatola o minestre con dado da cucina.
Se il pomeriggio siete abituati al solito riposino, fate in modo che non sia molto lungo, evitate l’attività fisica molto intensa nelle ore serali, o di passare molte ore al computer, perché così facendo si stimola il cervello, invece di aiutarlo a spegnersi.
Utile per conciliare il sonno, assumere la sera un bicchiere di latte caldo o ricorrere ad un rimedio naturale, come un’ottima tisana al biancospino.
Importante è riposare in una stanza aerata, magari usando un ventilatore o l’aria condizionata, da accendere un po’ di tempo prima e spegnere quando si va a letto, indossare indumenti in fibre naturali che lascino traspirare la pelle, come il lino o il cotone.
Per le donne che a causa degli ormoni, sono più irritabili e più soggette all’insonnia estiva, può essere utile l’assunzione di melatonina o di integratori.

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I farmaci da portare in vacanza

Estate: per molti tempo di vacanze e di partenze. Per godersi al meglio il tempo lontano da casa occorre portare con sé tutto l’indispensabile per far fronte agli imprevisti, a cominciare dai farmaci di prima necessità.

pronto soccorso
Al giorno d’oggi è difficile che anche in vacanza non si riesca a trovare una farmacia aperta. Una sicurezza in più però, soprattutto all’estero e per quei mali occasionali che necessitano di un intervento tempestivo, è quella di portare con sé in valigia i farmaci più versatili e di frequente utilizzo. Sicuramente tra questi rientrano gli antipiretici e gli antidolorifici, utili per placare febbre e infiammazioni o dolori tanto acuti quanto frequenti nei momenti più inopportuni, come il mal di denti o l’emicrania. Frequenti in trasferta, dati i cambiamenti di alimentazione e di clima, anche i disturbi intestinali o di stomaco. Meglio portare con sé, allora, tutto l’occorrente per farvi fronte: lassativi e antidiarroici, ma anche i farmaci che contrastano l’acidità di stomaco e favoriscono una corretta digestione.
L’esposizione al sole in questo periodo dell’anno favorisce l’insorgere di problemi della pelle, per questo è quasi d’obbligo portare con sé i farmaci contro le scottature solari e pomate antistaminiche o cortisoniche contro le irritazioni dell’epidermide.
Infine, specie con bambini al seguito, meglio avere sempre con sé un kit di prima medicazione, completo di cerotti, disinfettante e garze.

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Aumento delle possibilità di tumore per chi ha familiarità

Un importante studio condotto da un team di ricercatori italiani, francesi e svizzeri su un campione di oltre 20000 soggetti colpiti da diverse patologie tumorali tra il 1991 e il 2009, recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Annals of Oncology, ha evidenziato la forte incidenza della familiarità sullo sviluppo della malattia.

visita
Gli studiosi hanno analizzato tumori che interessano diversi organi, in particolare quelli orofaringei, della laringe e del nasofaringe, quelli dell’esofago, dello stomaco, del colon retto, del fegato, del pancreas, della mammella, utero, ovaie, della prostata e dei reni.
L’equipe di oncologi, ponendo particolare attenzione all’anamnesi e alla storia familiare dei pazienti, ha rilevato un aumento della possibilità di sviluppare un determinato tipo di neoplasia nei soggetti che hanno un parente prossimo (di primo grado) affetto dallo stesso tipo di tumore.

La ricerca, dunque, pur tenendo conto anche degli altri fattori che intervengono quali possibili concause della patologia (come lo stile di vita, l’alimentazione, il fumo, l’alcol), è stata in grado di confermare e quantificare un dato – quello dell’incidenza della familiarità nella genesi dei tumori – che era già noto da tempo.
Sono molti, infatti, gli studi che mettono in correlazione la genetica e l’insorgenza del cancro.
Il merito di questa ricerca, tuttavia, e’ quello di aver saputo prendere in esame un campione molto vasto di soggetti e di patologie, ricercando correlazioni incrociate; la scoperta nuova ed interessante che emerge dallo studio riguarda proprio l’aumento significativo del rischio dei familiari di soggetti colpiti dal cancro di sviluppare un tumore anche diverso da quello che ha interessato i parenti. A titolo di esempio, le donne che hanno una parente che ha sofferto di cancro alla mammella manifestano un rischio quasi triplicato di ammalarsi di tumore alle ovaie.
Anche l’età del paziente che è stato precedentemente colpito dal tumore incide sulla possibilità per i familiari di svilupparne uno a loro volta: è stato rilevato, infatti, che se un soggetto viene colpito da patologia tumorale prima dei 60 anni, il rischio per i suoi parenti più prossimi è notevolmente più elevato.
I risultati di questa ricerca sono importantissimi sotto il profilo della prevenzione, consentendo ai medici di effettuare uno screening mirato, tenendo sotto controllo i soggetti più a rischio.
La prevenzione, infatti, resta una delle armi più efficaci per combattere il cancro.

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Impiantato Ilesto, il primo defibrillatore compatibile con la risonanza magnetica

Dalla Biotronik, azienda multinazionale leader nel settore della tecnologia medica, arriva Ilesto 7, un nuovo defibrillatore che detiene due importanti primati: è uno dei modelli più piccoli al mondo ed è pienamente compatibile con la risonanza magnetica. In Italia, il primo ad adottare questa tecnologia è stato il Policlinico Casilino di Roma.

ilesto

Il defibrillatore è un dispositivo medico che permette di prevenire la morte cardiaca improvvisa causata da tachicardia ed aritmie del cuore che riducono il flusso sanguigno: l’ ICD, sigla utilizzata per identificare questi device, invia impulsi elettrici ad alta energia che regolano l’attività cardiaca.
Ilesto 7, il nuovo defibrillatore targato Biotronik, nasce dall’esigenza di rendere possibile l’esame della risonanza magnetica, uno dei più richiesti in tutto il Mondo, anche a quei pazienti che per motivi di salute utilizzano l’ICD. Ilesto 7, infatti, non solo è caratterizzato da dimensioni molto ridotte, ma implementa una speciale tecnologia che rende possibile eseguire gli esami diagnostici senza problemi: se il paziente deve sottoporsi ad un esame di imaging a risonanza magnetica nucleare (RMN), il medico deve solo programmare diversamente il defibrillatore per reimpostare i parametri tradizionali una volta che l’esame è stato completato. Grazie ad un programmatore esterno, il medico cambia temporaneamente le impostazioni del defibrillatore senza conseguenze per il paziente.
La salute del paziente viene tenuta sempre sotto controllo anche grazie al sistema BIOTRONIK Home Monitoring® che ogni giorno, ed in maniera del tutto automatica, invia ai medici i parametri del defibrillatore ed i dati del ritmo cardiaco consentendo, quindi, di effettuare un vero e proprio controllo ambulatoriale anche a distanza.
Ilesto 7 risolve così due problemi importanti nel settore cardiovascolare: da una parte, infatti si registra un aumento dei pazienti che necessitano dell’impianto di un defibrillatore (si parla di percentuali di crescita che si aggirano intorno al 10-15% all’anno) mentre aumentano del 10% circa anche le richieste di coloro che devono sottoporsi agli esami di risonanza magnetica, una procedura complicata per i pazienti con defibrillatore fino all’arrivo di Ilesto.
I primi ad impiantare il nuovo dispositivo Ilesto sono stati i medici dell’Aritmologia del Policlinico Casilino di Roma: Leonardo Calò, Responsabile della struttura, ha evidenziato non solo l’innovazione tecnologica di Ilesto 7, ma anche la sua eccezionale durata che garantisce 11 anni di funzionamento riducendo le complicanze legate alla sostituzione dell’apparecchio.

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Sigarette elettroniche vietate ai minori a scuola

La sigaretta elettronica ha avuto un gran successo in tempi brevissimi. Sebbene inizialmente si pensava che solo gli adulti la preferissero alla sigaretta tradizionale, il tempo ha dimostrato una tendenza diversa. Anche i più giovani la scelgono, in percentuale sempre crescente. Il Governo però mette i freni.

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Ieri in Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata l’ordinanza del 26 giugno che vieta l’uso delle sigarette elettroniche contenenti nicotina ai minori e l’uso all’interno degli edifici scolastici.
Questa ordinanza durerà un’anno, in attesa dell’entrata in vigore del disegno di legge più chiaro e specifico, varato dal Consiglio dei Ministri e firmato dal Ministro Beatrice Lorenzin, che si è fatta promotrice dela campagna antifumo per i giovani.
Lo stesso ministro della Salute ha specificato che il divieto riguarda anche i luoghi pertinenti ai plessi scolastici e il divieto di fumo è per tutti, non solo per gli studenti. Chi violerà le disposizione sarà soggetto ad una multa.
In caso di vendita di sigarette elettroniche a minori, l’ammenda oscillerà tra i 1.500 e i 9 mila euro.
In caso di fumo all’interno di un edificio scolastico l’ammenda oscilla tra i 1000 e i 6.000 euro.
Nel caso in cui i produttori non rispettino le nuove norme sulle indicazioni da mettere sulle etichette, la multa oscilllerà da 500 euro a 3.000 euro.

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Alcool e mortalità: bere poco è meglio di non bere affatto

Una ricerca pubblicata sulla rivista “Population Research and Policy Review” ha dimostrato che molte delle nostre “salubri” convinzioni, in realtà fanno acqua da tutte le parti! Ci avevano già detto che bere un bicchiere di vino a tavola, ogni giorno, previene i tumori … ma non è tutto: I ricercatori dell’Università del Colorado Boulder e dell’Università del Colorado Denver hanno scoperto che il rischio di mortalità è più alto per gli astemi che per gli individui che bevono con moderazione.

vinoI dati riportati dal “National Health Interview Survey” hanno preso in considerazione un campione di quarantunmila persone provenienti dagli Stati Uniti d’America, i quali sono stati divisi in tre categorie facenti riferimento a tre abitudini diverse: ex-bevitori, astemi e bevitori occasionali.
Le ragioni che gli astemi adducevano per la loro repulsione all’alcool erano di varia natura: c’è chi non amava il sapore dell’alcool, chi se ne asteneva per motivi religiosi, morali, famigliari o/e educativi. L’idea che il consumo di alcool potesse essere dannosa per la salute, probabilmente è una ragione troppo banale per essere ammessa:ed invece risulta che gli astenuti hanno la stessa probabilità di morte dei bevitori occasionali, attestata al 17%.

Rispetti ai bevitori moderati, gli ex bevitori o alcolisti hanno il 38% di probabilità in più di morte, coloro che consumano uno o due bicchieri al giorno, regolarmente, hanno un maggiore rischio del 9%; chi consuma dai due a tre bicchieri al giorno un 49% di probabilità, mentre, infine, le persone che assumono più di tre bicchieri al giorno accusano un maggiore rischio di morte del 58%.
Sembra dunque che “poco alcool” sia molto meglio che “niente alcool!”

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La cataratta in Europa: ecco i risultati delle operazioni

Grande soddisfazione per i dati relativi alle operazioni per cataratta in Europa. Esaminando gli esiti degli interventi su quasi 370 mila pazienti, i chirurghi non possono che dichiararsi contenti per aver migliorato l’acuità visiva a più del novanta per cento di essi.
occhio
Sono stati recentemente pubblicati gli interessanti dati della European Society of Cataract & Refractive Surgeons raccolti nel suo Registro, che misura la qualità degli esiti della chirurgia refrattiva oculare. In questo registro convergono i dati provenienti da quindici Paesi europei; la procedura di inserimento nel database è duplice. Possono essere i chirurghi stessi ad inserire mano a mano i dati, oppure questi ultimi vengono aggiunti in automatico con un trasferimento dai registri delle singole nazioni. Il numero di maggio del Journal of Cataract & Refractive Surgery ha riportato, appunto, le cifre relative a 368.256 interventi, su cittadini di differenti età e genere.
Analizzando quanto pubblicato, si evidenziano chiaramente gli ottimi esiti dell’intervento a livello generale. Ben il 61,3% dei pazienti ha raggiunto un’acuità visiva di 10/10 e solo una percentuale attorno a 1,7% ha peggiorato la propria vista, contro ben un 92,6% che l’ha migliorata. Va detto che le persone che hanno registrato il peggioramento partivano da una situazione di buona acuità visiva.
Una fascia di età molto vasta, tra i 40 e i 74 anni, ha mostrato i risultati migliori; stesso vantaggio per gli uomini rispetto alle donne.
Se età e sesso hanno avuto un’influenza sui risultati visivi, le più decise conseguenze negative postintervento in termini di funzionalità della vista si sono determinate a causa di comorbilità oculari, insieme a complicanze chirurgiche.
Infatti, chi aveva subito un precedente intervento di vitrectomia, oppure manifestava opacità corneali o, infine, era stato indicato come portatore di una cataratta nigra, ha dato I principali problemi dal punto di vista del recupero visivo. Oltre a queste situazioni di comorbilità, si sono registrate complicanze chirurgiche per le quali va però affermato che talvolta si sono manifestate in seguito ad interventi che presentavano comunque una percentuale alta di rischio.
L’esperienza e la preparazione che i chirurghi oculari hanno ormai accumulato negli ultimi anni in Europa spinge ad affermare che sempre più saranno scongiurati questi eventi di complicanze da intervento.
Per chi volesse consultare attentamente il testo, il titolo del lavoro pubblicato è: “Visual outcome of cataract surgery; Study from the European Registry of Quality Outcomes for Cataract and Refractive Surgery”.

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Spray alla cannabis come aiuto ai malati di sclerosi multipla

La sclerosi multipla è una malattia neurologica degenerativa: il sistema immunitario distrugge la guaina che protegge le cellule dei nervi nel cervello e nel midollo spinale, con notevoli disagi nello svolgimento delle normali attività quotidiane, per la presenza di numerosi sintomi come spasmi dolorosi, insonnia, rigidità muscolare, nausea e disturbi della vescica.

sativex
In Italia, i malati di sclerosi multipla sono tra i 50.000 ed i 58.000, mentre i centri scelti per la sperimentazione dello spray alla cannabis sono pochi ed i medici dovranno fare un’accurata scelta dei pazienti in base alle norme di sperimentazione stabilite dall’AIFA.
In questo trattamento non parliamo di cannabis allo stato puro, ma di un farmaco a base di poche dosi di cannabis, già presente sui mercati internazionali, oggi è a disposizione anche nelle farmacie italiane con il nome “SATIVEX”.
Dalle piante coltivate in serra, naturalmente in luogo protetto e controllato, vengono estratti i due principi attivi il THC ed il CBD, miranti a ridurre in primo luogo gli episodi spastici, con i relativi dolori, provocati dalla sclerosi multipla.
L’uso è molto semplice: il farmaco va spruzzato direttamente in bocca, nella guancia o sotto la lingua e sarà assorbito in breve tempo dalla mucosa, particolarmente efficace per quei pazienti che a causa degli spasmi, hanno seri problemi nella deglutizione.

Considerando che il livello di spasticità varia da persona a persona, anche il numero di spruzzi sarà differente, è un trattamento graduale che viene aggiornato in base alle risposte del malato.
Gli episodi spastici, moderati o gravi, sono accentuati in questa malattia in quando il nostro sistema Endocannabinoide, ha un funzionamento ridotto, peggiorando la qualità del sonno ed aumentando i dolori muscolari.
Tali problemi spesso sono causati dal poco movimento o da una vita quasi del tutto sedentaria, invece è proprio il moto che ci aiuta a produrre in maniera autonoma cannabidoidi.
Spesso i pazienti sono tormentati da una tensione muscolare che provoca crampi dolorosi, specie agli arti inferiori, questo farmaco ha la capacità di alleviarli. Un’altro disturbo ricorrente è quello urinario, i malati di sclerosi multipla, sentono spesso il bisogno di urinare, ma non sempre vi riescono, Sativex aiuta il rilassamento del muscolo vescicale.
L’effetto dello spray alla cannabis, non ha solo una risposta alla sintomatologia generale del malato, ma va oltre riducendo le placche che si formano quando la malattia stessa attacca la placca mielinica che protegge gli assoni, ovvero le fibre attraverso le quali le cellule nervose trasmettono i loro impulsi.
Il principio attivo non ha effetti collaterali e tanto meno crea dipendenza, l’improvvisa interruzione del trattamento, secondo gli studi fatti, non ha influenzato le funzioni cognitive e non ha causato disturbi psicopatologici.
I neurologi però, sconsigliano l’uso nei pazienti anziani, in quando potrebbe verificarsi un rallentamento dei riflessi.
E’ meglio valutarne l’uso anche su persone con disturbi psichiatrici, in particolar modo se interessati da psicosi o schizofrenia, in alcuni casi la cannabis può accentuare le psicosi maniacali, molto dipende dalla tipologia del paziente.
E’ questa una cura alternativa, per il trattamento della spasticità in malati che non rispondono positivamente ai farmaci antispastici tradizionali.

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Arriva un nuovo farmaco contro i disturbi dell’erezione

La disfunzione erettile è un disturbo diffuso che interessa circa trenta milioni di uomini solo negli Stati Uniti: questi sono i dati della FDA (Food and Drug Administration) che, insieme alla Commissione Europea, ha dato il via alla commercializzazione di un nuovo farmaco contro i disturbi dell’erezione.

pilloleIl Viagra è uno dei farmaci più noti per curare i deficit dell’erezione, ma non l’unico: sul mercato, infatti, vi sono anche il Cialis e Levitra a cui da poco si è aggiunto anche un nuovo prodotto, Avanfil, un inibitore delle fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5i).
I dati relativi all’efficacia di questo nuovo farmaco sono molto incoraggianti: il 77% degli uomini che soffriva di disfunzione erettile hanno ottenuto una buona erezione in seguito all’assunzione di Avanafil, contro il 54% di chi aveva preso il placebo. Risultati positivi sono stati conseguiti anche sui pazienti diabetici che hanno raggiunto l’erezione nel 63% dei casi contro il 42% del gruppo trattato con il placebo.
Buone notizie anche per quanto riguarda la comparsa degli effetti collaterali dopo l’assunzione di Avanafil: infatti, come si sa, questi farmaci possono provocare alcuni disturbi come cefalea, vampate di calore, dolori muscolari e problematiche più gravi, come tachicardia ed ipertensione. I pazienti trattati con il nuovo farmaco hanno riscontrato la comparsa di effetti indesiderati solo nel 2% dei casi.
Avanafil è un nuovo farmaco che però era già in produzione al di fuori dei confini europei. Grazie all’approvazione della Commissione Europea, questo nuovo prodotto per curare i disturbi dell’erezione sarà disponibile anche in Italia. Avanafil, rispetto agli altri prodotti della stessa categoria, si distingue sotto il profilo farmacodinamico: infatti, i benefici, e quindi il raggiungimento dell’erezione, si otterrebbe in maniera molta più rapida, ovvero in 35 minuti.
La molecola di questo prodotto farmaceutico ha inoltre meno interazioni rispetto il sildenafil, il principio attivo del Viagra, sopraattutto per i pazienti che assumono già nitrati. Chi soffre di cardiopatia, infatti, assumendo queste due classi di farmaci, rischierebbe un rapido calo di pressione. Inoltre, Avanafil è più sicuro anche per quei pazienti che hanno subito una prostatectomia radicale o soffrono di iperglicemia.
Avanafil presenta meno rischi rispetto agli altri inibitori della PDE5 per quanto riguarda il priapismo, ovvero erezioni estremamente durature che superano anche le quattro ore.

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Ecco il primo bebè nato da DNA garantito

Londra – Domenica 7 luglio 2013 è stato presentato dalla Società Europea di riproduzione umana ed embriologia (Eshre) una nuova metodologia di indagine atta a rilevare tutte le anomalie cromosomiche e genetiche presenti nel genoma umano.
A giugno è nato infatti il primo bambino con Dna analizzato prima dell’impianto in utero materno con l’impiego di questa tecnica rivoluzionaria messa a punto dagli studiosi dell’Università di Oxford.

dnaA dare l’annuncio alla comunità scientifica è il Dott. Dagan Wells che riferisce della nascita del bimbo, il primo nato in un tutta la storia con l’analisi della sua mappa genetica completa.
L’equipe medica guidata da Wells aveva già condotto con successo un test su 45 embrioni con anomalie genetiche e gli eccezionali risultati hanno portato i ricercatori a testare la nuova tecnica su due coppie che erano ricorse alla fecondazione in vitro.

Questa tecnica è chiamata Next Generation Sequencing (Ngs) e assicura di configurare in circa sedici ore una mappa completa di tutte le anomalie cromosomiche riguardanti ogni singolo gene umano e anche tutte quelle che interessano le alterazioni nel numero dei cromosomi (come avviene per la Sindrome di Down e per laTalassemia).
Oltre a ciò la Ngs è anche in grado di rivelare tutti quei geni che in età avanzata potrebbero predisporre il nascituro allo sviluppo di malattie come l’Alzheimer o il diabete.
Questo avvenimento rappresenta una svolta epocale nella fecondazione assistita perché tramite questo nuovo metodo si è in grado di rendere più sicura la selezione degli embrioni.
Questa nuovissima tecnica di sequenziamento è utile a tal punto tale da individuare o meno la presenza di moltissime malattie ereditarie, riuscendo ad identificare l’embrione “giusto” per assicurare una gravidanza priva di gravi problematiche.
Un altro grande vantaggio della Ngs risiede anche nel superamento della probabilità di incorrere in gravidanze gemellar, cosa che spesso avviene in molte delle fecondazioni assistite.
Il Dott. Giuseppe Novelli, medico genetista presso l’università Tor Vergata di Roma, spiega la grandissima valenza scientifica e rivoluzionaria di questa metodologia che già viene utilizzata in laboratorio da circa 4 anni per il rilevamento di geni tumorali ed anche per la diagnosi prenatale dei feti.
Nel campo della fecondazione assistita, la sua applicazione rappresenta l’opportunità di rintracciare un unico embrione in grado di potersi impiantare con ottime probabilità nell’utero materno, cosa che attualmente accade in media solo a poco più del 30% degli embrioni selezionati.
Restano però degli importanti problemi etici legati al fatto che si potrebbero generare una serie di ansie nei genitori che potrebbero decidere per un’interruzione della gravidanza a rischio. Per tale motivo è fondamentale una consulenza genetica adeguata nei momenti che precedono e che susseguono il test.

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