Nuovi farmaci per l’autismo

Una nuova frontiera è stata superata dalla scienza. Alcuni medici hanno infatti reso noto di aver scoperto nuovi farmaci per curare l’autismo, una malattia che sempre più spesso colpisce i bambini.

autismo

Stando a recenti studi infatti è stato evidenziato come un ragazzo su 88 sia vittima di questo disturbo. L’autismo, chiamato anche Sindrome di Kanner, è una patologia cerebrale che costringe i bambini a vivere in un mondo tutto loro. Nessun contatto con la realtà, poche possibilità di stringere relazioni di amicizia, minimo interesse verso le attività svolte quotidianamente dai loro coetanei. La persona autistica, se non viene seguita costantemente da esperti, può anche dar vita a comportamenti potenzialmente ‘pericolosi’ nei confronti degli altri individui. Oggi però la scienza è riuscita a superare una nuova frontiera. “Abbiamo fatto giganteschi passi avanti”, ha dichiarato Antonio Persico, professore di Neuropsichiatria Infantile al Campus Bio-Medico. “In questo momento infatti c’è una mezza dozzina di farmaci che è in fase finale di studio”. Antonio Persico è il maggior esponente italiano all’interno dell’European Autism Interventions (Eu-Aims), la ricerca impegnata nello sviluppo di nuovi approcci terapeutici contro l’autismo. “Le nostre conoscenze scientifiche”, ha aggiunto lo studioso, “hanno finalmente raggiunto la massa critica necessaria per passare alla loro traduzione in metodi diagnostici e in agenti terapeutici innovativi”. Sono stati cioè messi a punto nuovi farmaci che dovrebbero aiutare le persone affette e afflitte dall’autismo: “In questo momento c’è una mezza dozzina di farmaci in fase di sviluppo”, ha evidenziato Persico. Questi medicinali però sono pensati esclusivamente per migliorare i sintomi cardine dell’autismo. Non si tratta cioè di cure che possono favorire la socializzazione degli autistici, né di farmaci che potranno colmare il deficit comunicativo di queste persone. “Non sono farmaci pensati per i sintomi di accompagnamento dell’autismo, come agitazione, insonnia o altro, ma queste cure ci danno davvero molta speranza”. Il vero cruccio di queste nuove medicine sta nel fatto che non possono essere utilizzate in maniera indifferente da tutti gli individui autistici. Questa malattia infatti è piuttosto eterogenea e un farmaco che funziona su un paziente non è garantito che possa funzionare anche su un altro. A chi gli chiede se la scienza potrà finalmente vincere la battaglia dell’autismo infatti, Antonio Persico risponde con grande franchezza: “Non proprio, ci sono ancora delle difficoltà. E’ necessario identificare i diversi sottogruppi di pazienti che abbiano la possibilità di rispondere al farmaco x o a quello y. Questi sono medicinali che funzionano con meccanismi di azione molto diversi”. Si rende quindi necessaria una sorta di ‘mappatura’ dei diversi sottogruppi. I medici cioè devono capire la possibilità che un farmaco possa funzionare su un determinato paziente in base alle sue caratteristiche cliniche e neurobiologiche. Solo in questo modo si potrà dare una stima abbastanza precisa della probabilità che un certo medicinale funzioni o meno su un certo malato. Ulteriori studi dunque che saranno necessari approfondire per migliorare ancora di più l’efficacia delle nuove scoperte. Il rischio infatti, qualora non venissero eseguiti esami dettagliati, è piuttosto evidente. Un farmaco potenzialmente valido potrebbe essere classificato come non-valido solo perché somministrato a un paziente ‘sbagliato’. Un paziente cioè che, a causa delle proprie caratteristiche, potrebbe reagire negativamente a quel particolare medicinale .
L’obiettivo finale è stato dichiarato dallo stesso Antonio Persico: “Bisogna trovare una risposta adeguata per ogni sottogruppo. In modo che un giorno tramite non solo l’osservazione clinica, ma anche tramite un esame del sangue o un esame neuro radiologico, saremo in grado di dire: a questo bambino serve questa terapia per questo periodo di tempo”.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Dentista: ci rinuncia una famiglia su tre

Una famiglia su tre non va più dal dentista. La crisi economica, oltre a far piangere il portafoglio, rischia seriamente di essere nociva anche per la salute.

dentista2

A renderlo noto è uno studio dell’Osservatorio Analisi Statistiche Amica Card. “Gli italiani hanno tagliato le cure odontoiatriche”, hanno annunciato i ricercatori. “Una famiglia su tre non porta più i figli dal dentista e le richieste di apparecchi ortodontici sono scesi del 40 per cento”. Lo studio ha evidenziato come quasi la metà degli italiani (47%), con un’età media di 30 anni, non sono più entrati in un ambulatorio dentistico nell’ultimo anno. Il 32% invece, a meno di emergenze, ha dichiarato che non ci andrà in futuro. Un drastico calo dunque che rischia seriamente di bloccare l’economia nazionale. Anche perché, fanno sapere i medici, sempre più italiani hanno deciso di rivolgersi a studi dentistici esteri: Ungheria e Romania hanno i prezzi più bassi d’Europa, mentre circa l’11% dei cittadini della penisola ha ammesso di aver provato alcune offerte dei gruppi di acquisto per cure come sbiancamento, corone dentali e pulizie dei denti. I dati sono stati resi noti in base alle prenotazioni degli italiani in oltre 3500 dentisti convenzionati, in collaborazione con l’Istituto Auxologico, gli Istituti Clinici Zucchi e l’Ospedale San Raffaele.

Come se non bastasse sembrano essere cambiate anche le abitudini degli italiani: sembra infatti che sempre più persone vogliano ricevere un preventivo prima di scegliere in maniera definitiva il dentista dal quale andare. Ecco perché sono diminuiti i pazienti a Bologna e Milano, i capoluoghi più costosi della penisola. E’ Napoli invece la città più conveniente: un’otturazione nel capoluogo campano costa 70 euro, a Milano il prezzo si impenna anche fino ai 250 euro.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Come evitare disturbi comportamentali dei bimbi: a nanna presto

I vostri bambini sembrano soffrire di disturbi comportamentali? La soluzione è semplice: mandateli a letto presto. Non si tratta del solito ‘metodo della nonna’, ma la notizia è il risultato di uno studio condotto dalla University College di Londra.

nanna

Per evitare che i bambini siano vittime di fastidiosi disturbi comportamentali infatti è necessario farli andare a dormire presto e, se possibile, sempre alla solita ora. Gli studiosi della University College di Londra hanno infatti scoperto che mandare i bimbi a nanna a orari irregolari è fortemente legato a evidenti difficoltà comportamentali. La ricerca è stata anche pubblicata sulla rivista ‘Pediatrics’ e ha coinvolto oltre diecimila bambini in tutto il mondo. Sono stati osservati principalmente i comportamenti dei bimbi di 3, 5 e 7 anni. Coloro che vanno a letto tardi o che comunque non si addormentano sempre alla stessa ora hanno disturbi comportamentali di gran lunga maggiori rispetto ai pari età che invece conducono una vita più regolare. Il motivo è presto detto: i ragazzi che dormono poco infatti non riescono a riposarsi in maniera sufficiente e accumulano stanchezza. Restare svegli fino a tardi a guardare la tv è comunque un’opportunità che si può concedere ogni tanto ai bambini, ma non deve diventare abitudine. Dormire poco e male infatti predispone i giovani a problemi quali iperattività e difficoltà a legare con i compagni.
Gli studiosi hanno comunque evidenziato che gli effetti sono reversibili. Qualora infatti i bambini abituati a dormire a orari irregolari dovessero cambiare le loro abitudini, i miglioramenti sarebbero evidenti anche nel loro comportamento.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Nuovo farmaco per i malati di tumore al pancreas

Saranno oltre 12 mila, secondo gli esperti, le persone che il prossimo anno verranno colpite dal cancro al pancreas, uno dei tumori più temuti dall’uomo. Questo male infatti affligge sempre più individui e, come se non bastasse, è difficile da individuare nella sua fase iniziale. I medici però hanno fatto una nuova importante scoperta che dovrebbe migliorare le condizioni di vita dei malati di cancro al pancreas.

medicinali

“Finalmente, per la prima volta, siamo di fronte a un sensibile passo avanti”, ha dichiarato entusiasta Stefano Cascinu, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). “La ricerca è riuscita a mettere a disposizione una nuova molecola, il nab-paclitaxel: si tratta di un punto di svolta nella terapia”. La nuova scoperta dunque garantirà maggiore speranza di vita a coloro che contrarranno un cancro al pancreas. Certo, la nuova molecola non sarà miracolosa. Ma gli addetti ai lavori sono comunque riusciti a superare uno scoglio che fino a poco tempo fa sembrava invalicabile. “Il nab-paclitaxel”, ha continuato lo stesso Stefano Cascinu, “determina un aumento significativo nella sopravvivenza a un anno se viene somministrato con gemcitabina”. Dopo anni di insuccessi dunque finalmente è arrivata una buona notizia per tutti i soggetti afflitti da questo male. Come detto però la nuova scoperta non può e non potrà fare miracoli quindi, come sempre, la prevenzione resterà l’arma più efficace per provare a contrastare il cancro al pancreas. Alcuni dati hanno rivelato come i fumatori siano sensibilmente più a rischio dei non fumatori: la possibilità che questo tumore colpisca una persona che fuma infatti è addirittura tripla rispetto a chi conduce una vita più sana. Complessivamente inoltre, tra tutti coloro che hanno contratto il cancro al pancreas, è stato calcolato che oltre il 30% dei casi sia dovuto proprio al fumo delle sigarette.
A questo proposito l’Associazione italiana di oncologia medica ha voluto promuovere una campagna di sensibilizzazione nei confronti di questa patologia. Spesso infatti le persone si sono dette disinformate a riguardo, criticando talvolta anche in maniera aspra i mezzi di comunicazione pubblica. L’AIOM ha allora preparato alcuni opuscoli informativi che verranno distribuiti ai cittadini, oltre a un sondaggio sull’argomento per gli oncologi. Presto inoltre sarà online uno specifico sito web sul cancro al pancreas, accessibile a tutti e nel quale verranno pubblicate dichiarazioni e consigli di medici e studiosi. Come se non bastasse, a partire da gennaio 2014, verrà realizzato un tour di prevenzione in nove regioni italiane. Un impegno importante dunque quello promosso dall’AIOM, come specifica il presidente Cascinu: “Ci sentiamo vicini ai cittadini. Il primo opuscolo è dedicato completamente alla prevenzione, ricco di consigli utili per imparare a seguire uno stile di vita equilibrato”. Il secondo fascicolo invece si rivolge esclusivamente a coloro a cui è stato già diagnosticato il tumore al pancreas. Si tratta di un opuscolo che mira a migliorare il rapporto tra oncologo e paziente, cercando di rendere lo specialista un vero punto di riferimento per il malato.
“Questo è lo studio di maggiori dimensioni condotto fino a oggi in pazienti con tumori al pancreas”, ha voluto commentare Michele Reni, coordinatore dell’area di ricerca clinica del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Ospedale San Raffaele di Milano. “Quello ottenuto è un risultato che apre scenari terapeutici e di ricerca decisamente interessanti”. Intanto gli oncologi hanno voluto dare qualche consiglio per prevenire questo tipo di cancro. E’ importante infatti seguire una dieta equilibrata, povera di grassi, e svolgere costantemente attività fisica.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Rinite allergica in autunno: che fare?

La rinite allergica è una patologia infiammatoria che colpisce sempre più persone: le ultime ricerche hanno dimostrato come un italiano su sei ne soffre. E, come se non bastasse, a causa dello smog e dei cambiamenti climatici il problema sta diventando sempre più difficile da curare.

rinite

La rinite allergica comunque non è assolutamente una malattia grave. Spesso viene indicata anche come raffreddore allergico e, nella maggior parte dei casi, si sviluppa durante la primavera. Il problema però è che, rispetto al passato, molte più persone hanno cominciato a soffrire di rinite allergica anche in autunno. La causa principale è da ritrovarsi nel clima, ormai diventato mite anche durante mesi tipicamente più freddi come ottobre e novembre. Con gli irritanti pollini che iniziano a colpire le persone anche durante questi periodi. Tra i pollini più fastidiosi ci sono l’ambrosia e la parietaria: questi infatti sono così piccoli da penetrare con estrema facilità nell’apparato respiratorio e, talvolta, possono anche portare all’asma. I sintomi della rinite poi sono molto simili a quelli di altre allergie tipiche dei periodi primaverili e autunnali: si passa allora dal naso che cola al raffreddore, dagli occhi stanchi e arrossati fino alla lacrimazione continua. Niente di grave, come detto, ma la rinite è piuttosto fastidiosa, soprattutto quando poi dà origine a una forte tosse. Ecco allora che il proverbio ‘meglio prevenire che curare’ si rivela esatto in queste situazioni. Chi ha già sofferto in passato di rinite o coloro che spesso sono vittime di allergie devono adottare semplici accorgimenti, ma efficaci, per prevenire questa malattia. Innanzitutto bisogna evitare per quanto possibile il contatto con animali, i peli sono molto fastidiosi, e l’esposizione agli acari della polvere. Bisogna anche cercare di ridurre al minimo il contatto con fumatori e non si deve abusare di alcun tipo di farmaco. Ma gli accorgimenti non finiscono qui: è importante anche chiudere i finestrini dell’auto durante lunghi viaggi e si deve preferire vacanze o weekend al mare piuttosto che in campagna (qui infatti il rischio di venire a contatto con pollini è di gran lunga maggiore).
Qualora però la rinite dovesse avere il ‘sopravvento’ ci sono alcune semplici cure e rimedi da seguire per ridurre al minimo i nostri fastidi. I farmaci antistaminici e gli spray nasali sono un vero toccasana, ma anche colliri e antinfiammatori permettono di guarire presto. Per chi invece volesse risolvere il problema con rimedi naturali, ecco un piccolo consiglio: arance e salmone sono un vero prodigio. Le arance infatti sono ricche di vitamine C che riducono la reazione al polline, mentre il salmone contiene quell’Omega 3 che ha benefiche azioni antinfiammatorie. Se invece abbiamo contratto una forma più grave di rinite allergica bisogna allora rivolgersi a un medico. Il dottore infatti, dopo aver accuratamente effettuato un test cutaneo e un esame del sangue, saprà fornirci i rimedi migliori per tornare in salute.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Chi è depresso rischia di più il morbo di parkinson

La depressione è la malattia del nuovo millennio. Dichiarata da più fonti attendibili come il male da sconfiggere, rende l’individuo inerme a qualsiasi reazione. La perdita di interesse o di piacere nelle attività normalmente piacevoli , o la perdita di autostima, sono alla base di questa dannosa patologia.

depressione
In particolar modo si pone l’attenzione sull’impatto che ha la depressione con la malattia denominata morbo di Parkinson. Dalle ultime ricerche effettuate, sia negli Stati Uniti D’America presso l’Università della Florida a Gainesville, che al General Hospital di Taipei a Taiwan, escono dei dati allarmanti. L’impatto della malattia depressiva nel morbo di Parkinson raddoppia rispetto a quello dei problemi di movimento e motori articolari. Come afferma lo studioso americano Michael S. Okun, direttore medico del National Parkinson Foundation, circa il 50% delle persone che hanno il Parkinson soffrono di depressione. I ricercatori universitari dell’università della Florida infatti, hanno condotto una ricerca accurata su circa 5.500 pazienti, di età compresa tra i 25 e i 95 anni. Si sono recati in 20 centri specialistici in Canada, negli Stati Uniti, in Israele e nei Paesi Bassi. Sono state eseguite circa 9.000 visite cliniche; e hanno esaminato le informazioni sui farmaci, i tassi di depressione e ansia, ed altre informazioni. Si è giunti, dopo anni di ricerca, alla conclusione che il legame fra le due malattie è di elevatissima incidenza. Gli studi, a detta del direttore del centro Michael Okun, continueranno in maniera meticolosa e specifica, ponendo in tal modo le basi ad una possibile cura parziale e successivamente definitiva.
Come detto, lo studio in oggetto è stato condotto anche nel centro specialistico del Veterans General Hospital di Taipei a Taiwan. Come per la precedente ricerca effettuata negli Stati Uniti, anche qui i ricercatori sono giunti alla conclusione che, un soggetto depresso , ha un rischio decisamente elevato di sviluppare la malattia neuro degenerativa di Parkinson. Si può addirittura arrivare ad un rischio tre o quattro volte superiore rispetto a pazienti che non sembrano avere perdita di autostima e di consapevolezza dei propri mezzi. Gli studiosi cinesi, hanno utilizzato un percorso di analisi e ricerca durato ben 10 anni. Anche in questo studio specifico sono stati utilizzati pazienti affetti e non da depressione, e si è giunti alla conclusione che l’incidenza del morbo depressivo ha un influenza enorme sulle probabilità di un futuro anomalo e del rischio di poter esser affetti dalla degenerazione motoria derivante da Parkinson. Una soluzione che comunque potrebbe alleviare questa pena, secondo i medici del General Hospital di Taipei, e dell’ Università della Florida, è il continuo esercizio fisico giornaliero. 2 ore circa di allenamento motorio ogni giorno, ridurrebbe parzialmente questa degenerazione neurale e porterebbe la fase depressiva in netto calo.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Nuovi scenari per la Sclerosi Multipla

La Sclerosi multipla colpisce ogni anno oltre 2000 italiani ed ad oggi sono circa 68000 i cittadini italiani, di cui circa il 75% sono donne, che hanno dovuto fare i conti con questa terribile patologia. Tuttavia all’orizzonte sembra esserci uno spiraglio di luce e a confermarlo è il dottor Giancarlo Comi direttore dell’Istituto di neurologia sperimentale Inspe del San Raffaele, da sempre in prima linea nella lotta contro la Sclerosi Multipla.

sclerosi_multipla

Comi spiega come, sebbene ad oggi sono ancora sconosciute le principali cause del sorgere della malattia, si sono fatti degli importanti passi in avanti dal punto di vista clinico e terapeutico. Il primo importante passo in avanti è rappresentato dal crescere del numero di trattamenti disponibili per affrontare la sclerosi multipla. Ogni tipologia di trattamento infatti può affrontare la malattia in uno stadio diverso ed è inoltre dotato di una diversa potenza e tollerabilità per il paziente. Si intende dunque che avere a disposizione più trattamenti significa semplicemente avere più armi per combattere il nemico Sclerosi Multipla. La crescita del numero di trattamenti è ovviamente dovuta agli ampi progressi fatti in campo farmacologico negli ultimi anni. Il dottor Comi spiega infatti che da circa un anno è arrivato in Italia il farmaco Fingolimod che, assunto per via orale, permette di controllare i linfociti, le cellule bianche del sangue, che nel caso della Sclerosi Multipla impazziscono letteralmente e vanno a colpire il sistema nervoso. Altro farmaco di grande potenza è inoltre l’Alemtuzumab che distrugge la maggior parte di linfociti e il cui dosaggio ovviamente va controllato attentamente in quanto gli effetti collaterali sono molti: uno tra tutti i danni alla tiroide.
Insomma lo scenario sembra essere incoraggiante e l’avvento di nuove cure potrebbe ulteriormente indebolire quella che ad oggi è una patologia che spaventa. La componente fondamentale nella lotta alla Sclerosi Multipla però, sottolinea ancora Comi, oltre che lo sviluppo si chiama organizzazione. E’ fondamentale infatti che ci sia un’adeguato utilizzo degli strumenti e dei farmaci, si sta inoltre lavorando alla costruzione di centri che possano essere dei veri e propri punti di riferimento per il paziente in tutta Italia. Ad oggi si può tranquillamente dire che i risultati sono buoni anche sotto questo punto di vista in quanto in Italia sono presenti oltre 200 centri dove il paziente può essere seguito da medici esperti che controllano costantemente l’evolversi dei trattamenti.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Ipoglicemia neonatale: con un massaggio si può sconfiggere

Dai risultati dei ricercatori dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, emerge che l’ipoglicemia neonatale è possibile debellarla con un massaggio alle guance.

bambino

La causa dell’ipoglicemia è dovuta ad un basso livello di zuccheri (glucosio) nel sangue.
Essa può provocare uno scarso afflusso di glucosio al cervello, riducendone le funzionalità e in gergo medico è chiamata neuroglicopenia.
La diminuzione della funzione celebrare è in grado di creare: un vago senso di malessere, coma e, in certi avvenimenti sporadici, può portare alla morte.
All’ipoglicemia si è soggetti a qualsiasi età e le sue radici possono assumere cause diverse.
La neonatologa e coautrice dell’articolo apparso su The Lancet, Jane Harding, racconta che l’ipoglicemia neonatale colpisce fino al 15% dei bambini ed una causa evitabile di danno celebrale.
Grazie agli studi fatti dai ricercatori neozelandesi, risulta che con un gel di destrosio, da tempo utilizzato contro l’ipoglicemia dei diabetici, è possibile, massaggiando prudentemente all’interno delle guance del neonato, ottenere ottimi risultati per la terapia di questa patologia.
Fino ad oggi, l’alimentazione integrativa prescritta sulla base degli esami della glicemia, a volte, risulta poco efficace in quanto subentra la necessità di ricovero in terapia intensiva, con trattamento di glucosio endovena.
Il primo studio denominato Sugar Babies Study, ha dato prova che il massaggio in bocca con il gel, oltre ad essere privo di pericolo e il suo utilizzo è assolutamente semplice, ha maggiore efficacia rispetto all’alimentazione integrativa per curare l’ipoglicemia neonatale.
Da non sottovalutare, che la cura ha un costo di solo due dollari (circa 1,45 di euro) a bambino, quindi si limitano considerevolmente i costi sanitari.
Sono 242, i bambini ipoglicemici che si sono sottoposti a questo tipo di trattamento con destrosio, è il suo risultato è stato ottimo in quanto ha normalizzato lo zucchero nel sangue in tempi rapidissimi, senza conseguenze negative, limitando notevolmente il ricovero in terapia intensiva.
Anche se un semplice grazie non ripaga adeguatamente tutti gli sforzi che i ricercatori fanno attraverso gli studi e le ricerche effettuate per ore ed ore nei laboratori, tramite ad essi possono ridonare un sorriso ai bambini e ai loro famigliari, dandogli la possibilità di una vita serena.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

Come consumiamo i farmaci: meno antibiotici e più depressivi per le donne

In Italia è aumentato il consumo di antidepressivi, in particolare da parte delle donne, per le quali è cresciuta anche la somministrazione di farmaci antitumorali. In calo invece l’assunzione degli antibiotici.

Farmaci
L’Agenzia Italiana del Farmaco ha reso noti gli ultimi dati relativi alle assunzioni di farmaci in Italia: il Rapporto mostra come nelle abitudini degli italiani il ruolo degli antibiotici cominci a calare, anche se appare evidente come la media del consumo sia ancora molto alta rispetto ai reali bisogni.
Un dato negativo giunge riguardo agli antidepressivi, la cui assunzione in Italia ha subito un aumento del 4,5% se confrontata con il 2004. Un riscontro che supera i confini nazionali è offerto dalle dichiarazioni del direttore dell’Aifa Luca Pani, il quale ha commentato che, secondo ricerche svolte in ambito internazionale, escludendo le patologie cardiovascolari, la depressione diventerà nel 2020 la patologia che causerà maggiori perdite in termini di anni di vita attiva. Dallo studio dell’Aifa emerge inoltre come le donne tra i 35 e i 44 siano soggetti particolarmente interessati da questo nuovo fenomeno. Ancora per le donne si registra un aumento del consumo di antitumorali, in conseguenza di un aumento dei casi di tumore al seno ma anche per i miglioramenti in ambito diagnostico. Secondo l’Osmed dell’Aifa, la spesa totale per i medicinali in Italia nel 2012 si attesta sui 25,5 miliardi di euro.

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]

XII Master Internazionale in Floriterapia clinica

master

Il Master in Floriterapia Clinica alla sua XII edizione ricalca l’insegnamento tradizionale della floriterapia di Bach attualmente impartito presso la Fondazione Bach di Mount Vernon, integrato dai moderni contributi della ricerca scientifica di settore. Il suo scopo è formare un terapeuta esperto in grado di utilizzare la floriterapia di Bach con grande padronanza tecnica ed adeguata sensibilità. Di taglio spiccatamente avanzato ed esperienziale, ma aperto anche ai neofiti, il Master si rivolge a Medici, Psicologi, Farmacisti, Operatori Sanitari e Naturopati che per motivi professionali desiderino approfondire con rigore e metodo lo studio clinico della floriterapia di Bach.

Per iscriverti clicca qui: http://www.almedico.it/old/landing/fiori.html
Info: 333 3857130

[sws_facebook_share]
[author]
[sws_related_post]