Un sabato con l’ortodontista

Diapositiva1Abbiamo incontrato il dottor Daniele Vanni nel suo studio. Ci ha accolto con un sorriso cordiale e con gentilezza. Lo studio era chiuso al pubblico e ciò ci ha consentito colloquiare con calma, davanti ad un buon caffè. Nel suo ufficio, dove ci siamo accomodati, colpisce subito la mole di libri di testo (di qualcuno è anche autore) e l’ordine. Sulla sua scrivania ci sono locandine e brochure di corsi d’aggiornamento e una pila di compiti da correggere. Ci ha poi spiegato che si tratta dei test relativi agli esami di clinica odontoiatrica della scuola di osteopatia, nella quale è docente.
Da qui partiamo con il nostro colloquio.

D- Come mai un dentista insegna agli osteopati?
R- Il binomio postura-occlusione è un dato di fatto. Per noi ortodontisti, in particolare, il confronto e la collaborazione con i posturologi è diventato un must. Sia che ci si occupi di pazienti disfunzionali, sia che si trattino pazienti in fase di crescita.

 D- Un’altra cosa che si nota è la quantità di locandine di corsi d’aggiornamento nei quali è relatore. Che cosa spinge lei e altri liberi professionisti ad occuparsi di didattica?
R- Probabilmente la voglia di approfondire. Insegnando ci si deve necessariamente aggiornare. Si pone una cura maniacale nello studio dei casi clinici, della letteratura internazionale, in tutto ciò che si fa. È un grande stimolo a dare il meglio di se stessi. In fondo chi ne guadagna è il paziente, che viene curato con grande attenzione diagnostica e terapeutica. Chi insegna è portato a considerare ogni caso trattato come un ipotetico caso da pubblicare.

D- Per questo motivo collabora anche con Università ed associazioni?
R- Si. Anche se vanno fatti i dovuti distinguo. Essere docente della scuola di specializzazione in ortodonzia di Cagliari è certamente motivo di vanto. È li che è nata l’ortodonzia in Italia e, tutt’oggi proprio a Cagliari si trova una fucina di ortodontisti di caratura internazionale. Non solo i nostri colleghi docenti, sono conosciuti in Italia ed all’estero, ma anche tanti ex studenti, oggi specialisti, tengono alto il nome della scuola di Cagliari. Il nostro direttore, professor Piras, negli ultimi anni, ha compiuto un lavoro più che apprezzabile, creando quasi un club di ortodonzia d’eccellenza, oggi quanto mai necessario, vista la situazione politica europea, sempre meno generosa con le università. Per quanto riguarda la vita associativa, non posso non essere grato alla scuola di formazione della S.I.O.B. la società italiana di ortognatodonzia bioprogressiva, società che ha tante consorelle in tutto il mondo. Alla S.I.O.B. devo tantissimo, forse tutto. La mia formazione, la mia voglia di far bene e le opportunità che mi ha dato in questi venti anni di professione, di stare a contatto con alcuni dei più grandi ortodontisti del mondo. Per questo motivo è stato per me un onore essere il presidente della società per due mandati, succedendo ad ortodontisti del calibro di Franco Bruno e Francesco Caligiuri.

D- La formazione mediante corsi a chi è dedicata?
R- In genere quelli che organizziamo sono corsi post-laurea, quindi dedicati ad odontoiatri, che vogliono approfondire la conoscenza dell’ortodonzia, ma di recente ho tenuto, sempre in qualità di relatore, corsi ad osteopati, a logopediste, a fisioterapisti, a pediatri, e qualche conferenza anche in club service dove ho illustrato il mondo dell’ortodonzia a profani. Quella è un’esperienza interessante. Un opera di divulgazione che andrebbe svolta. Spesso i nostri pazienti non hanno la percezione della qualità che gli si eroga perché non conoscono l’argomento, ed è un peccato, perché in Italia vi sono ortodontisti di grandissimo spessore, che non hanno nulla da invidiare ad i colleghi d’oltralpe o a quelli americani.

D- I prossimi impegni?
R- A settembre, precisamente il 27, terrò, in qualità di relatore, un corso di ortodonzia in età precoce a Bergamo, corso che riproporrò a Pavia nel mese di novembre. Questi sono i miei impegni immediati. Da qualche anno relaziono anche con il supporto di un’azienda leader mondiale, l’australiana Myofunctional Research, che svolge un lavoro incredibile in ambito di ricerca riguardante le nuove biotecnologie in ortodonzia e che, in Italia, ha sede presso la Isasan a Rovello.  Ciò mi consente di proporre ai colleghi e, e tramite loro anche ai pazienti, sistematiche e dispositivi all’avanguardia, che fino a una decina di anni fa potevamo solo sognarci.

D- Buon lavoro allora.
R- Grazie, venite a trovarmi a Bergamo in settembre, avrete anche voi l’occasione di conoscere meglio il nostro mondo attraverso i casi che presenterò.

D- Bene, le facciamo questa promessa.

Le staminali del cordone ombelicale e il Metodo Stamina

Certezze scientifiche vs metodo controverso

In questo articolo si tenterà di fare chiarezza non solo sugli aspetti controversi del metodo Stamina, ma soprattutto su una distinzione essenziale: quella tra questo discusso metodo e la scelta da parte dei genitori di conservare il cordone ombelicale del loro bambino.
Le cellule staminali cordonali sono riconosciute universalmente come un patrimonio biologico; certezze scientifiche e controlli medici rigorosi spingono la comunità scientifica ad utilizzarle a livello internazionale da 25 anni (il primo trapianto risale infatti al 1988).
Parliamo ora del Metodo Stamina. Con questo termine si fa riferimento ad un trattamento ideato dallo psicologo Davide Vannoni. I destinatari sono pazienti affetti da patologie neurologiche e il trattamento consiste nell’infusione di cellule neuronali ottenute dalla manipolazione in laboratorio di cellule staminali adulte. Questo metodo è soggetto a numerose critiche, scientifiche così come legali, e si differenzia perciò nettamente con la conservazione e l’impiego terapeutico delle cellule staminali del cordone ombelicale.
Approfondiamo dunque gli aspetti scientifici e legali che differenziano nettamente il Metodo Stamina dal prelievo e dalla conservazione delle cellule staminali cordonali.

Aspetti scientifici
Studi scientifici, centinaia di pubblicazioni e altrettante sperimentazioni hanno finora permesso oltre 30 mila trapianti di staminali cordonali.
Di contro, per il Metodo Stamina non esistono pubblicazioni scientifiche che ne dimostrino l’efficacia terapeutica e l’intera procedura è caratterizzata da omissioni e carenze che hanno destato la preoccupazione degli scienziati.
Ad oggi, non esistono pubblicazioni scientifiche che confermino la sicurezza e l’efficacia del metodo Stamina. Tutto ciò si contrappone nettamente ai trapianti di cellule staminali del cordone ombelicale, pratica riconosciuta dalla comunità scientifica come valida possibilità di trattamento per diverse patologie.

Aspetti legali
I trapianti di staminali cordonali sono infatti riconosciuti per legge nei Paesi più sviluppati del mondo. In aggiunta la conservazione privata di tali cellule è un diritto sancito dalla comunità europea.
E in Italia? Il Ministero della Salute ha siglato come “di comprovata efficacia” il trapianto di staminali per la cura di oltre 80 patologie. Per questo motivo nel nostro Paese la pratica dell’esportazione del sangue cordonale dei neonati in direzione di diverse biobache estere è autorizzata e disciplinata.
Dall’altro lato invece il Metodo Stamina che oggi, anche se applicato solo in qualità di cura compassionevole, deve essere costantemente sottoposto ad autorizzazione giudiziaria. Davide Vannoni è tuttora indagato per tentata truffa, per esercizio abusivo della professione medica e per somministrazione di farmaci potenzialmente pericolosi. In più, l’associazione onlus da lui fondata (la Stamina Foundation) è stata cancellata dall’anagrafe delle onlus per la violazione dei requisiti necessari e in particolare per la mancanza di personalità giuridica e altre carenze nello statuto.
In conclusione appare evidente come non esistano punti di contatto tra l’utilizzo delle staminali cordonali e il controverso Metodo Stamina.

Per ulteriori informazioni sulle staminali del cordone ombelicale:

www.sorgente.com             02 36705878

Troppi casi di morbillo in Italia

Trasmesso per via aerea e caratterizzato da un periodo di incubazione che va dai 10 ai 12 giorni, il morbillo è una malattia infettiva estremamente facile alla diffusione. La facilità del contagio, le afflizioni generate alle vie respiratorie -suscettibili di complicazioni- e la violenta manifestazione esantematica, hanno reso necessaria una accurata politica di profilassi.
La più importante forma di prevenzione per il morbillo attualmente a disposizione è una apposita vaccinazione, che viene somministrata a partire dal compimento del primo anno, fino al quindicesimo mese d’età. A questa prima somministrazione del vaccino deve seguire un richiamo, da effettuarsi tra il quinto e il sesto anno di età del bambino. A fronte di queste vaccinazioni, l’immunità è definitiva.

morbillo-il-morbillo

Nonostante le disposizioni attuate per la prevenzione del morbillo e le capillari vaccinazioni, i dati raccolti dall’Ecdc (European Center for Diseases Control) -in relazione al periodo che va dal novembre 2012 all’ottobre 2013- rivelano la presenza in Italia di un alto numero di casi di morbillo.
Sono ben 12.000, infatti, i casi censiti nel nostro paese: un record negativo che ci colloca in prima posizione tra le nazioni in cui l’incidenza di questa malattia è ancora notevole.
Seguono l’Italia nella classifica, secondo i dati raccolti dalla stessa Ecdc, Germania, Gran Bretagna e infine Olanda e Romania.
Il progetto di debellare morbillo e rosolia -altra malattia esantematica oggetto di vaccinazione congiunta a morbillo e parotite- entro il prossimo 2015 sembra, quindi, ancora lontano. L’obiettivo da raggiungere è segnato dai risultati raggiunti dal virtuoso Portogallo, che attualmente rappresenta il fanalino di coda nella classifica di incidenza di queste malattie.

La strada da seguire sembra essere quella della prevenzione, rendendo necessario un aumento capillare del numero di vaccinazioni. Sembra, infatti, che quasi il 90% dei casi rilevati coincida con soggetti non vaccinati, o non vaccinati completamente. Un dato, questo, che rivela la primaria importanza della profilassi nell’arginare il diffondersi del morbillo.
A fronte dei rari e poco importanti effetti collaterali del vaccino, che si manifestano come lievi e transitori episodi febbrili o rossori localizzati, la vaccinazione rappresenta infatti il mezzo più efficace per evitare il diffondersi del morbillo. Un passo importante, se si considera il pericolo di questa malattia e le sue possibili complicazioni, in alcuni casi anche gravissime. Tra queste, per esempio, si annoverano casi di polmonite e di encefalite morbillosa, capace di portare al decesso o di produrre danni permanenti in ben la metà dei pazienti colpiti.

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Meditazione contro depressione e ansia

La meditazione si rivela utile e particolarmente efficace per aiutare a combattere e a sconfiggere disturbi, come l’ansia e la depressione, che condizionano la nostra quotidianità, rendendo la vita molto più difficile. Ad affermare e confermare ciò sono svariati studi scientifici fatti in merito, che documentano quanto sia benefica attuare la pratica meditativa in situazioni delicate, specialmente quando si vive con uno stato d’animo ansioso e/o depresso.
A tutti è capitato almeno una volta nella vita di sentirsi un pò giù, o tristi, magari per qualche evento particolare che ha colpito la nostra esistenza, o particolarmente demotivati e stanchi per colpa dei ritmi frenetici che si conducono tutti i giorni. Ci si distrae facilmente, l’ansia, lo stress e l’irrequietezza prendono il sopravvento, e tutto diventa ingestibile.

meditazione

Chi è colpito da uno stato ansioso e/o depresso, di solito incorre in sintomi che hanno una costante nel tempo; si vivono emozioni, sentimenti e pensieri negativi che fanno avvertire un senso di insoddisfazione perenne, denominato spesso come “mal di vivere”.
Sono numerose le persone che soffrono di ansia e/o depressione; questo lo dimostra l’eccessiva vendita di ansiolitici e antidepressivi che avviene ogni giorno. Certamente si tratta di farmaci utili e necessari per il controllo e la gestione dei sintomi dell’ansia e della depressione, ma nell’insieme recano anche vari effetti indesiderati, come: in primis la dipendenza e poi la sonnolenza.

Senza dubbio la strada da percorrere per contrastare l’ansia e la depressione è certamente lunga e difficile; nel proseguire verso il cammino della guarigione, oltre ai farmaci, ci possono essere anche altre alternative, ad esempio la meditazione. I molteplici effetti benefici che apporta la meditazione, sono ormai noti da tanto tempo, ma in realta cosa significa praticare la meditazione?

La meditazione è una pratica con origini antichissime, che affonda le sue radici in varie dottrine religiose. Principale ed unico obiettivo della pratica meditativa è quello di liberare e svuotare la mente da ogni tipo di pensiero, per cercare di raggiungere uno stato di profondo rilassamento, un equilibrio interiore e sentirsi in armonia con il “tutto”.
L’approccio meditativo che si espica attraverso la pratica di alcuni esercizi (tecniche di visualizzazione, concentrazione sul proprio respiro, recitazione dei mantra, esecuzione di movimenti corporei) permette di curare le proprie ferite emotive, i propri disagi più profondi, per ritornare a vivere e vibrare di una nuova linfa vitale.

Chi medita quotidianamente, riesce a percepire che corpo, mente e anima sono un tutt’uno. Le esercitazioni meditative dovrebbero essere regolari e costanti nel tempo, bastano anche pochi minuti al giorno; solo così si possono ottenere benefici duraturi.
La meditazione dunque, nonostante abbia mostrato significativi miglioramenti per disturbi di ansia e depressione, oltre ad essere presa in considerazione da coloro che soffrono di tali disagi, può essere altrettanto considerata da tutti coloro che ne vogliono beneficiare.

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Già stressati a 4 mesi: ecco come soffrono lo stress i neonati

Sembra davvero incredibile ma la scienza pare non avere dubbi in merito: i neonati di soli 4 mesi sono già sottoposti a uno stato di stress. Il male tipico della nostra società colpisce quindi fin dai primi momenti della vita e, certo, non si tratta di una buona notizia.

neonati

La ricerca in merito al fenomeno è stata condotta da un team di ricercatori italiani facenti parte dell’Ircss Medea di Bosisio Parini. I dati emersi dallo studio hanno scosso il mondo scientifico dopo la loro pubblicazione su una rivista medica. Di certo scoprire che a 4 mesi lo stress si fa già sentire non può lasciare indifferenti ma le modalità della ricerca parlano chiaro. Gli studiosi hanno indotto nel neonato un meccanismo di lieve stress raccomandando alla mamma del piccolo di evitare, per un ridotto periodo di tempo, ogni comunicazione con il bambino. Durante l’esperimento, quindi, la madre non deve toccarlo, né parlargli e il suo volto deve sforzarsi di mantenere un’espressione completamente neutra e priva di ogni emozione. Il neonato, posto di fronte a questa nuova condizione ha un’immediata reazione negativa, si agita, piange, reclama attenzione e manifesta desiderio di essere coccolato e preso in braccio. Atteggiamenti positivi come sorrisi o versetti rivolti alla madre vengono istantaneamente abbandonati per lasciar posto a proteste a a comportamenti di tipo compensatorio e sostitutivo dell’affetto materno come, per esempio, mettersi il dito in bocca. A questo punto il team ha voluto indagare anche i livelli di memoria dei neonati sottoposti all’esperimento. Un gruppo è stato sottoposto all’esperimento stressante 2 volte, a 4 mesi e dopo altri 15 giorni di distanza dal primo esperimento. Il secondo gruppo, al contrario, ha affrontato l’esperimento un’unica volta all’età di 4 mesi e 15 giorni. I risultati hanno mostrato come di fronte allo stress i bambini ripetevano il comportamento della prima volta senza sostanziali modifiche, ma i loro livelli ormonali subivano significativi cambiamenti con delle varianti individuali. In particolar modo risultava particolarmente fluttuante, specialmente in alcuni individui più sensibili, la concentrazione di cortisolo. Questo ormone, destinato a regolare il metabolismo di proteine, grassi e zuccheri, nei piccoli appartenenti al primo gruppo risultava dimezzato mentre, in quelli esposti per la seconda volta era raddoppiato, dimostrando come l’evento fosse stato più stressante. Il gruppo di neonati già sottoposti a stress era quindi in grado di ricordare, anche a distanza di due settimane, il lieto fine del primo esperimento e, di conseguenza, reagiva con maggiore tranquillità alla seconda esposizione. Montirosso, direttore del team di ricerca, ha quindi concluso che la memoria di un evento stressante si manifesta nei bambini di 4 mesi sotto forma fisiologica e non comportamentale.

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Dati mondiali sul fumo: ecco le novità!

Dalla collaborazione delle Università di Washington di Melbourne sorgono i nuovi dati mondiali riguardanti i consumi di tabacco nel panorama attuale: se da una parte risulta che il consumo pro capite stia notevolmente diminuendo, il numero dei fumatori è tuttavia paradossalmente in aumento. Vediamo perché…

fumo

Negli ultimi trent’anni il consumo giornaliero di tabacco è diminuito in percentuale variabile dal 25 al 42%, rispettivamente in individui di sesso maschile e femminile.
Tuttavia, l’esponenziale crescita demografica mondiale incrementa del 41% il numero dei fumatori uomini e del 7% la porzione mondiale femminile di fumatrici.

Dopo ben cinquant’anni si ottiene il secondo rapporto dell’Us Surgeon General sul fumo e sui rispettivi effetti riversati sulla popolazione.
A distanza di quasi mezzo secolo la sostanza rimane invariata: il tabacco e la sua diffusione continuano a influenzare negativamente la popolazione terrestre a ogni latitudine.
Si registrano nel solo anno 2012 circa 5.7 milioni di morti a causa del fumo, un 6,9% di anni di vita persi irrimediabilmente e un 5,5% di anni di vita trascorsi pienamente nella disabilità.

Le stime fornite dal Tobacco Atlas, riportanti dati relativi a fumo per età e sesso in quasi 190 paesi del mondo negli ultimi 32 anni, dal 1980 al 2012, sono molto utili. Tuttavia, come afferma una ricercatrice, vi è la necessità di chiarire delle strategie utili e attuabili di contenimento e di monitoraggio preciso di distribuzione e consumo nella popolazione generale.

Dalle stime risulterebbe un calo di consumo giornaliero pro capite modesto tra il 1980 e il 1996, il quale tuttavia sembra attenuarsi dal 2006 al 2012 dopo un intermedio decennio decisivo.

Le stime negative degli ultimi 6 anni si devono difatti all’aumento dei fumatori a partire dal 2006 in diversi stati molto densamente popolati tra cui Bangladesh, Cina, Indonesia e Russia.
Dunque, sebbene risulti una riduzione notevole del singolo consumo, l’aumento della popolazione sopra i 15 anni genera un consequenziale aumento del numero dei fumatori, raggiungendo una quota di 976 milioni del 2012, 250 milioni in più in soli 30 anni.

Buone nuove invece dal Bel Paese, dove,in conseguenza alla legge sul divieto di fumo, alle campagne di sensibilizzazione e ai vari progetti d’assistenza nazionali e regionali, la popolazione fumatrice è in costante diminuzione.
Questa discesa è lenta e non repentina, ma costituisce tuttavia un miglioramento.
Secondo i dati Istat, dal 2003 – anno durante il quale vennero attuate le restrizioni legislative antifumo – al 2009, la percentuale di fumatori Italiani è diminuita di circa 0,8 punti, passando da un 23,8% ad un 23% netto.

Oltre ad un costante monitoraggio serve dunque un’adeguata sensibilizzazione, specialmente nei paesi in via di sviluppo, particolarmente vessati dall’industria del tabacco.

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Pericolo diabete: ecco le notizie allarmanti

Il diabete è una malattia causata da un calo di attività dell’insulina. Oggi si distinguono due tipi di diabete: il diabete di tipo 1, dovuto ad un malfunzionamento del sistema immunitario, ed il diabete di tipo 2, legato al deficit di produzione di insulina.
In 15 anni è aumentata la percentuale di morte causata dal diabete. Questo è l’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui il diabete è la quarta causa di morte.

diabete
Di recente è stata presentata una relazione per capire la situazione in cui versa l’Italia nei confronti di questa malattia: allo stato attuale la percentuale di malati di diabete sarebbe raddoppiata in soli 10 anni.
Il diabete porta con sé complicanze ed alterazioni, che possono interessare la cute, gli occhi e il sistema immunitario, dal momento che la reazione dei diabetici alle malattie è diversa da quella dei non diabetici.
Questa malattia è capace di apportare problemi, molto più seri, al cuore, ai reni e al sistema nervoso: per questo, i malati che ne soffrono peggiorano la loro generale condizione di salute.
L’Italian Barometer diabetes report ha calcolato che le spese annue di un malato di diabete sono cresciute non a causa del diabete stesso, piuttosto dalle complicanze che esso comporta.
Per questo i medici sensibilizzano tutti i pazienti, dai giovani agli anziani, ad adottare uno stile di vita sano, sia a tavola che durante la giornata.
Per prevenire e curare il diabete, gli specialisti raccomandano di consumare a tavola molte fibre, frutta, verdura e cereali integrali, moderando il consumo di alcool e cibi complessi ricchi di grassi.
Ma, ciò che più preme sottolineare è che la sola corretta nutrizione non basta, poiché bisogna abbinare alla dieta un’attività fisica adeguata: sia per i soggetti diabetici che per quelli non, l’esercizio fisico è importante perché mette in moto l’organismo, aiutandolo a ridurre la limitata tolleranza al glucosio e, al tempo stesso, migliora l’attività svolta dall’insulina.
Inoltre, l’esercizio fisico, costituito anche da una sola lunga passeggiata giornaliera, aiuta a prevenire tutte le complicanze e le alterazioni scaturite dal diabete, come sopra indicato, specialmente quelle legate al cuore.
Dieta ed attività fisica vanno comunque associate a terapie farmacologiche, le quali prevedono l’iniezione di insulina prima dei 3 pasti principali giornalieri.

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La tecnologia che fa male alla pelle

In un’epoca in cui la tecnologia è entrata in quasi tutte le fasi della nostra giornata lavorativa e non, siamo costretti a chiederci se la tecnologia sia o meno un possibile rischio per la nostra salute e per la nostra pelle.

parlare-al-cellulare
Sin dall’uscita dei primi telefoni cellulari ci si è chiesti se se le onde prodotte dall’apparecchio fossero pericolose per l’uomo, ma solo recentemente ci si è chiesti se tutti i materiali venuti a contatto con la nostra pelle siano stati attentamente studiati ed esaminati, allo scopo di prevenire fastidiose e talvolta estremamente dannose reazioni allergiche o irritazioni.
Riportando i risultati di uno studio pubblicato qualche mese fa in una prestigiosa rivista internazionale di dermatologia, evinciamo che, su un campione di cinquanta modelli di telefoni cellulari, circa il 20% presentava parti metalli contenente nichel a stretto contatto con l’epidermide del consumatore.
Ma questo è solo uno dei tanti esempi di cui si potrebbe parlare. Purtroppo, ancora oggi, sia per quanto riguarda il nostro tempo libero ma anche sul posto di lavoro, siamo costretti a subire un’aggressivo inquinamento ambientale provocato dal contatto o l’inalazione di sostanze chimiche e non. E questo non è limitato ai telefoni cellulari, oggetto oramai alla portata di tutti, anche dei bambini più piccoli i quali lo utilizzano come giocattolo quando giocattolo non è.
Ciò vale anche per molti altri oggetti facenti parte del nostro quotidiano quali tablet, computer, elettrodomestici, batterie, per non parlare di ciò che respiriamo una volta messo il naso fuori di casa, fino ad arrivare ai contenitori per alimenti ed alle protesi dentarie! Insomma, una vera e propria invasione denunciata anche dalla Società italiana di dermatologia allergologica, professionale e ambientale (Sidapa).
La suddetta associazione, riunitasi in congresso, ha evidenziato dati allarmanti: ad esempio, negli ultimi dieci anni, i casi allergici riconducibili ai metalli pesanti prodotti dalle marmitte catalitiche quali ad esempio il palladio, sono aumentati di almeno dieci punti percentuali.
Allo stesso modo, si sono registrati numerosi casi di patologie cutanee e dermatiti avvenute sullo stesso posto di lavoro, situazioni in cui nel 7% dei casi, il soggetto ha dovuto lasciare la propria posizione lavorativa per grave incompatibilità con l’ambiente professionale.
Tutto ciò, incredibilmente avviene nonostante le precise direttive europee emanate nel 2009 con lo scopo di limitare la presenza di materiali nocivi quale ad esempio il nichel, in tutti i prodotti commercializzati all’interno dell’Unione Europea.
Purtroppo, queste sostanze estremamente dannose per l’organismo umano, sono ancora molto utilizzate in tantissimi prodotti di uso quotidiano, utilizzati da ogni classe sociale ed a ogni età.
La soluzione arriva dallo stesso convegno del Sidapa, suggerita dagli stessi dermatologi: monitorare con estrema attenzione le sostanze immesse nell’ambiente con lo scopo di prevedere le possibili interazioni con le sostanze già presenti, al fine di evitare ulteriori rischi per la nostra salute.
Nella speranza che i produttori abbraccino totalmente le direttive europee già promulgate.

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Giocattoli per neonati prematuri

Oggi sono molto frequenti le gravidanze che si concludono prima del termine previsto ma, come è noto, ciò può provocare disturbi neuropsichici.

neonato
Per tale motivo, data l’elevata percentuale di bambini nati prematuramente in tutto il mondo, i medici hanno deciso di tenerli sotto controllo ed osservare l’evoluzione del sistema nervoso, grazie all’uso di giocattoli intelligenti.
Questi giocattoli sono dotati di speciali sensori grazie ai quali si possono testare i progressi di ogni singolo bebè e, nel caso fosse opportuno, intervenire immediatamente.
La tempestività è importante, dal momento che un intervento mostra la sua efficacia solo durante il primo anno di vita.
Grazie ai giocatoli per bambini prematuri, si potranno ricavare informazioni come lo sviluppo dei movimenti, il numero delle prese dell’oggetto e così via.
Questi giocattoli però non sono ancora disponibili per le famiglie, siccome l’Istituto di biorobotica insieme all’Università di Lubiana ed Amburgo ed altri centri, ne stanno ancora testando la validità e funzionalità.
La sperimentazione sarà eseguita per un anno intero, trascorso il quale questi giocattoli monitoreranno lo sviluppo di tutti i bimbi nati prematuramente.

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Dove sono i migliori ospedali d’Italia

Il portale Dove mi curo, che ha valutato più di 1.200 ospedali basandosi su circa 50 indicatori di qualità, ha stabilito che si trovano in Lombardia le più eccellenti strutture ospedaliere.

ospedale

Secondo il portale Dove mi curo, sono gli ospedali lombardi ad aggiudicarsi la palma di migliori strutture ospedaliere d’Italia. Il portale, che è gestito dal dipartimento di Sanità pubblica dell’Università Cattolica di Roma, prendendo in considerazione una cinquantina di parametri per la valutazione della qualità riconosciuti a livello internazionale (come ad esempio la mortalità a trenta giorni dal ricovero per un infarto, o in seguito all’intervento di asportazione di un tumore) ha infatti sancito la netta superiorità di tre strutture della Lombardia e di una della regione Lazio, che si sono aggiudicate tutte, a pari merito, il primo posto: si tratta degli Spedali Civili di Brescia, dell’Ospedale di Magenta in provincia di Milano, del Centro Cardiologico Monzino, sempre di Milano e dell’Azienda ospedaliera S. Andrea di Roma.
Il portale ha scelto le strutture tra le 1.233 che ha recensito allo scopo di informare il pubblico sulla qualità dei servizi cura che vengono forniti. Da segnalare, inoltre, la quarta e la quinta posizione, occupate rispettivamente dall’Ospedale dei bambini V. Buzzi di Milano e dall’Ospedale città di Sesto San Giovanni.

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