Mantenere la fertilità con l’endometrosi

L’endometriosi è una malattia cronica che colpisce le donne, in quanto si tratta della presenza anomala del tessuto che riveste l’utero, appunto chiamato endometrio, in organi diversi dall’utero, quali ovaie, tube, vagina, intestino e peritoneo.

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Durante il periodo mestruale, proprio come l’endometrio presente nell’utero, esso sanguina, provando infiammazioni, tessuto cicatriziale ed aderenze. Si stima che in Italia sono 3 milioni le donne che soffrono di questa malattia e che in Europa dal 30 al 40% dei casi di infertilità sono dovuti ad essa.E’ una malattia dolorosa sia durante il ciclo mestruale che durante i rapporti sessuali; comporta infertilità, aborti spontanei,affaticamento cronico.
E’ una malattia che ancora non ha una cura con una terapia definitiva ma esistono diversi metodi di cura: terapie con androgeni, terapie che tendono alla riduzione degli estrogeni, la combinazione di pillola anticoncezionale, anello vaginale e spirale al progesterone; e la terapia chirurgica, sia laparoscopica che in laparotomia, naturalmente più invasive e con i rischi derivante degli interventi chirurgici.
Essendo un malattia che tende a essere recidiva e quindi a ripresentarsi, è importante la diagnosi precoce e la giusta terapia, anche per mantenere la capacità riproduttiva della donna che ne soffre.
Ma come può conciliarsi l’endometriosi e le sue terapia con la voglia di bebe’?
Naturalmente la terapia farmacologica comporta molti inconveniente per la donna che vuole rimanere incinta. La riduzione della presenza di estrogeni comporta una menopausa artificiale, che oltre all’impossibilità di procreare, comporta anche i tipici svantaggi legati alla menopausa; ma la ricerca può dare una speranza in più.
Infatti uno studio del San Raffaele di Milano sta portando avanti una ricerca che contrasta l’endometriosi combattendo l’infiammazione che essa comporta, cercando così di fermare lo sviluppo della malattia e tenendola sotto controllo. Inoltre sono delle terapia che non intaccano la fertilità della donna poichè non influiscono sulla funzione ovarica. Sono però ricerche che troveranno un risultato solo nel futuro, e neanche troppo vicino.
Gli interventi chirurgici, anche se invasivi e con maggiori rischi, sono anche risultati ottimi per risolvere, anche se temporaneamente, il problema; e permettere la procreazione. Inoltre i rischi della laparotomia (molto più invasiva ed ancora utilizzata solo per lesioni ed aderenze più estese) sono state diminuite con l’utilizzo della laparoscopia.

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I contraccettivi ormonali migliorano l’umore

Molte donne che utilizzano contraccettivi esprimono soddisfazione per i vantaggi che questo tipo di farmaco porta, come il miglioramento della vita sessuale o la riduzione dei disturbi legati al ciclo mestruale. I contraccettivi a base di ormoni (tra i più conosciuti la cosiddetta pillola o i cerotti anticoncezionali), oltre alle funzioni per le quali sono stati studiati, potrebbero però migliorare anche l’umore delle donne che li assumono.

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Secondo uno studio condotto dalla statunitense Mailman School of Public Health della Columbia University infatti questo tipo di contraccezione non sarebbe correlato all’aumento della depressione nelle donne di giovane età, ma anzi agirebbe in senso posto, rendendo migliore l’umore delle utilizzatrici.
Quattro indagini diverse svolte nell’arco di quattordici anni (tra il 1994 e il 2008) su un campione di donne della fascia di età dai venticinque ai trentacinque anni che utilizzano diversi sistemi di contraccezione (sia ormonali che non ormonali), hanno evidenziato che le donne che utilizzano contraccettivi ormonali adottano più spesso comportamenti che si possono definire salutari, come la pratica di un’attività sportiva e la rinuncia al fumo ad esempio e appaiono nel complesso più giovani rispetto alle altre donne intervistate.
Nelle donne che utilizzano contraccettivi ormonali i ricercatori hanno evidenziato che la presenza di depressione è inferiore del 32 per cento rispetto al resto del campione, mentre la tendenza suicida sarebbe inferiore del 63 per cento rispetto alle altre donne intervistate.
I ricercatori sono quindi giunti alla conclusione che la contraccezione ormonale potrebbe avere effetto sui cambiamenti di umore legati al ciclo mestruale, e sull’umore in generale delle donne secondo un meccanismo di funzionamento ancora non chiaro, che deve quindi essere indagato per essere compreso nella sua totalità.
Di conseguenza sono stete programmate ulteriori ricerche che consentiranno di analizzare a fondo questo meccanismo, che se rivelato nel suo funzionamento potrebbe portare a un cambiamento significativo per la vita di molte donne soggette a depressione o a tendenze suicide che oggi non ritengono necessario o opportuno per il proprio stato fisico l’utilizzo di contraccettivi ormonali.
Rimaniamo in attesa di scoprire cosa riveleranno queste ulteriori ricerche e quali altri passi importanti aiuteranno a compiere alla ricerca medica.

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Rischi cromosomici del nascituro individuati da un esame del sangue

Avere un figlio nel ventunesimo secolo rappresenta sicuramente un rischio minore rispetto anche solo a vent’anni fa; grazie alle nuove tecnologie, infatti, le future mamme dispongono di molti mezzi per conoscere la salute del feto ed eventuali anomalie molto prima della nascita.
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In particolare, gli esami riguardanti proprio le anomalie dei cromosomi danno esiti praticamente certi su eventuali patologie legate al parto. Questi esami sono quasi sempre consigliati a tutte le donne che decidono di avere un bambino superati i 35 anni, ma anche in tutti quei casi in cui in famiglia si sono già manifestate anomalie legate all’eredità genetica. Con un semplice esame del sangue si potranno verificare forma e numero dei cromosomi presenti all’interno delle cellule: di norma ogni cellula ha 46 cromosomi, a loro volta divisi in 23 coppie di cromosomi appartenenti al padre e 23 alla madre. L’anomalia che si verifica più frequentemente è la sindrome di Down che, grazie alla ricerca, si è scoperto essere legata all’anomalia della ventunesima coppia.
Altri esami destinati a scovare anomalie nel feto sono il DUOTEST e il TRITEST, entrambi effettuabili attraverso un’analisi del sangue della madre.

Il primo, il duotest, serve a rilevare la concentrazione nel sangue di due proteine prodotte dalla placenta. Questo test è effettuabile già allo scadere della decima settimana fino alla tredicesima circa.
Il secondo, il tritest, è un esame destinato all’esaminazione di tre ormoni prodotti sia dalla placenta che dal feto, ed è attuabile nell’intervallo tra la quattordicesima e la sedicesima settimana; se risulta positivo si prescrivono ulteriori test per verificarne l’esattezza.

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Età della madre e complicazioni del parto

I ricercatori del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, operante in Irlanda, presso l’Università di Dublino, hanno pubblicato i risultati di una ricerca inerente la connessione tra l’età della madre e le eventuali complicanze del parto.

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Lo studio ha preso in considerazione circa trentasettemila partorienti, con età compresa tra i 17, o meno, e i 40 anni, o più, e il risultato è stato che la percentuale di complicanze saliva notevolmente nel caso di madri diciassettenni o più giovani e di quarantenni o più grandi.
Paragonando questi due gruppi con quello comprendente le madri tra i venti e i trentaquattro anni, si è visto come le diciassettenni avessero una minore probabilità di subire un cesareo, ma risultavano seriamente a rischio per quanto riguarda un possibile parto pretermine. Le quarantenni invece risultavano seriamente a rischio in fatto di taglio cesareo, e i loro bambini rischiavano più degli altri di dover finire, in seguito alla nascita, in ricovero neonatale, o di sviluppare delle anomalie congenite.
Tutto ciò conferma quelle che fino a poco tempo fa erano soltanto delle ipotesi. Ora dunque sono le percentuali a chiarire che l’età della madre può influire notevolmente sullo svolgimento del parto e la salute del piccolo. In particolare il rischio di parto pretermine nelle partorienti più giovani è spesso connesso a delle loro dannose abitudini, come ad esempio fumare, mentre nelle partorienti più mature alcuni disturbi medici possono compromettere la salute del bambino.
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Depressione e ansia in gravidanza: la soluzione è l’attività fisica

E’ importante intervenire sulla depressione e sull’ansia nel periodo gestatorio, un grande aiuto viene dalla attività fisica, in particolare quella aerobica.

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Si parla di gravidanza: spesso le donne in questo periodo della loro vita, si trovano in uno stato di depressione e di ansia, questa condizione può avere conseguenze negative, anche gravi, sul nascituro.Si è visto come possa portare ad un parto prematuro, e di conseguenza ad un neonato sottopeso; se la mamma per combattere la depressione fa uso di psicofarmaci, potrebbe avere problemi con l’allattamento.
E’ provato che una gravidanza in stato di depressione, può generare una “depressione post partum” al momento della nascita, con gravissime problematiche per la neomamma e il suo bambino.

Il cortisolo, l’ormone dello stress, prodotto dalla mamma stressata in gravidanza, può avere conseguenze importanti sullo sviluppo psicologico e intellettivo del nascituro.
Questo stato depressivo psico-fisico delle gestanti è facilmente migliorabile con una buona attività fisica, meglio se aerobica.
La ricerca scientifica, ha dimostrato come, nei casi non patologici, bastino solo quattro settimane di un programma di attività fisica, adeguato al periodo della gravidanza, per diminuire notevolmente lo stress e i picchi di ansia.
Anche la stanchezza fisica che molte donne lamentano nel periodo della gestazione, migliorerebbe facendo attività fisica con constanza.
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L’allattamento al seno riduce il rischio di tumori

Le ultime ricerche scientifiche dimostrano che l’allattamento al seno, oltre a far bene al bambino, procura benefici anche alle mamme, riducendo i rischi di cancro alla mammella e dell’ovaio e proteggendo contro ipertensione, diabete di tipo 2 e infarto.

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La rivista Obstetrics and Gynecology ha pubblicato lo studio dell’Università di Pittsburg e dell’Harvard Medical School, diffondendo i risultati dei ricercatori che hanno mostrato gli effetti dell’allattamento sull’organismo della madre. I risultati si sono rivelati particolarmente positivi: gli autori affermano che se il 90% delle mamme statunitensi allattasse al seno per i primi dodici mesi dopo la nascita in un anno vi sarebbero 5 mila tumori al seno in meno, i casi di ipertensione si abbasserebbero di 53 mila unità e si verificherebbero 14 mila infarti in meno. Inoltre, si ridurrebbero in maniera significativa i rischi di cancro all’ovaio.
Ai già noti benefici per il bambino, che dal latte materno acquisisce importanti anticorpi, si aggiungono quindi effetti positivi per le mamme, lasciando intravedere un risparmio cospicuo da parte della comunità: lo stesso studio mostra che tale diminuzione di patologie comporterebbe un risparmio per la sanità americana di 869 milioni di dollari per la spesa sanitaria e di 14 miliardi di dollari in termini di costi indiretti per il sistema sociale.

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Male al basso ventre

I dolori a basso ventre sono comuni e ad esserne colpita è soprattutto la sfera femminile. E’ difficile evidenziare una causa principale poiché il sintomo può interessare differenti organi.

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Le infezioni urinarie provocano dolori al basso ventre. Si percepisce un forte bruciore quando si libera l’urina e una persistente necessità di svuotare la vescica (cistite). Se si avverte anche dolore al rene si tratta di calcoli renali. L’urinocoltura serve a identificare il batterio responsabile della cistite che viene debellato con un antibiotico selettivo. Per i calcoli il percorso è più astruso, e a volte è richiesto l’intervento chirurgico. Contro le infezioni urinarie la natura risponde con il decotto di uva ursina, che agisce come un potente antisettico e calma la sensazione di bruciore. Per combattere i calcoli c’è la betulla che facilita l’eliminazione della renella; l’equiseto che elimina i residui tossici dell’organismo e la robbia che con la sua azione antisettica facilita lo scioglimento dei calcoli.
L’intestino in presenza di stipsi e di diarrea è responsabile della dolorosa sintomatologia. Le cause dipendono da disordini alimentari e cambiamenti delle abitudini. Ai consueti dolori viene associato una spiacevole sensazione di gonfiore riconducibile al colon irritabile. In presenza di dolori acuti è possibile fare ricorso ad antispastici dietro prescrizione medica. A volte può essere richiesto un esame delle feci per vedere la presenza di sangue occulto o di un’endoscopia. La dissenteria in natura si combatte con il decotto di foglie di vite: astringente e antiemorragico. Per il colon irritabile i frutti di papaia tonificano l’apparato digerente e favoriscono il buon funzionamento dell’intestino. Per la stipsi vanno utilizzate piante blandamente lassative come l’infuso di cicoria che stimola la motilità dell’intestino e il decotto di malva, lassativo non irritante.
Dall’utero, dalle tube di Fallopio e dalle ovaie possono avere origini dolori a basso ventre. La dismenorrea è una causa, così un’infiammazione pelvica, i fibromi, l’endometriosi, complicazioni legate a gestazioni come le gravidanze extrauterine e gli aborti. Un tampone vaginale è indicato per evidenziare eventuali infezioni, un’ecografia pelvica per controllare le ovaie, mentre quella transvaginale per una esplorazione più approfondita. Indipendentemente quale sia la causa, in presenza di un dolore a basso ventre, si consiglia di contattare il medico per evitare serie complicazioni addominali.

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Come smettere di fumare in gravidanza: metodi naturali

Per tutte le future mamme in dolce attesa smettere di fumare è importantissimo: farlo senza il ricorso a farmaci dannosi per la loro salute e per quella del feto, è ancora meglio.

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Sono molti i metodi per smettere di fumare in maniera naturale, oltre a tanta forza di volontà, ci sono alcune tecniche assolutamente prive di controindicazioni per aiutare le donne in gravidanza a compiere questo importante passo.
Uno dei metodi più utilizzati è il ricorso a prodotti di natura omeopatica come il Tabacum: una sostanza di origine naturale che aiuta a ridurre la dipendenza liberando il corpo dalle tossine e dalla voglia di nicotina.
Ideale anche l’uso dell’agopuntura, metodo di medicina alternativa che consiste nell’andare a stimolare determinati punti del corpo tramite aghetti. Consente di convertire l’energia di alcune zone del corpo in uno strumento di liberazione dal tabagismo.
Infine si puo’ provare con l’ipnosi con l’aiuto di uno specialista del settore oppure provare con i fiori di Bach in particolare la variante Cayenne che è specifica per assistere nella lotta alla dipendenza da fumo.
E’ consigliabile comunque prima di intraprendere qualsiasi strada e assumere qualsiasi sostanza consultare uno specialista o il proprio medico ginecologo.

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Come rimettersi in forma dopo la gravidanza

La nascita di un figlio è una grande gioia per i loro genitori, dopo tutte le fatiche affrontate per la gravidanza, ma quello che più segna è la difficoltà a rimettersi in forma dopo il parto.

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Non è sempre facile con un bambino appena nato avere del tempo libero da dedicare a se stessi e ad allenarsi o a fare della semplice ginnastica, per questo è necessario entrare nell’ottica di idee che bisogna fare dei sacrifici, mettere da parte la pigrizia soprattutto nei piccoli momenti liberi e orientarsi a seguire un programma di allenamento quotidiano, integrato con una dieta adeguata.
Una cosa molto importante è non avere fretta, quindi non iniziare subito dopo il parto, ma attendendo qualche settimana o meglio ancora dopo un mese circa, mantenendo una dieta non drastica e un allenamento graduale e costante.

Nei primi periodi di vita del bambino la mamma non si può permettere di effettuare una dieta molto rigida, soprattutto se lo allatta al seno, ma deve prediligere principalmente alimenti genuini come frutta, verdura, fibre e cereali integrali.
Invece, si deve cercare di evitare fritture, sale, cibi ricchi di grassi e conservanti, bevande gassate e dolci che non aiuterebbero per nulla a tornare in forma. Nelle prime fasi è importante non saltare pasti e se si allatta sarà necessario fare anche due spuntini intermedi per evitare di indebolirsi troppo, mentre al termine dell’allattamento si potrà seguire un regime di dieta più restrittivo sotto prescrizione però di un medico specialista dietologo.
L’esercizio fisico è una buona regola da seguire sia per tonificare i muscoli sia per recuperare la forma fisica di un tempo, ma tutto ciò è da fare senza esagerare. Per via del parto è sempre consigliabile cominciare gradualmente le attività solo dopo due o tre settimane, con piccole passeggiate a basso ritmo che andrà aumentato nel tempo.
Dopo circa un mese e mezzo sarà possibile recarsi in palestra per effettuare esercizi specifici e iniziare a sollecitare i muscoli della pancia e a cicli di circa venti movimenti anche quelli addominali, o ancora meglio nuotare in piscina o al mare.

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Calcolosi renale aumenta il rischio di malattie cardiache nella donna

La ricerca scientifica ci aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari nelle donne con storia di calcolosi renale.

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Lo dimostra una fertile collaborazione tra l’ Università di Boston e l’ Università Cattolica di Roma che ha dato vita ad uno studio sulla correlazione tra calcolosi renale e malattie cardiovascolari con un’incidenza superiore nelle donne. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica americana JAMA ( Journal of the American Medical Association ), spiega l’interessante sperimentazione: il campione prescelto, composto da 196.357 donne e 45.748 uomini, è stato osservato per 24 anni per verificare l’insorgenza di malattie coronariche a seguito di calcolosi renali.

La ricerca è stata portata avanti su entrambi i campioni e a parità di altri fattori che potevano essere determinanti come i livelli di diabete ed ipertensione. ll gruppo di ricerca italo americano ipotizza che fattori ormonali possano predisporre le donne, in misura maggiore rispetto agli uomini almeno del 30%, allo sviluppo di malattie cardiovascolari se con una storia di calcolosi renale. In base a questo studio quindi potrebbe essere davvero utile, ai fini della determinazione di problemi coronarici, sottoporre le donne con storia di calcoli renali a controlli cardiologici più assidui e puntuali.

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