Afte in bocca, cosa c’è da sapere

Che cosa sono le afte?

Le afte sono delle piccole ulcere, che riguardano la mucosa orale.
Queste piaghe sono di carattere non contagioso e sono assolutamente begnigne. Queste lesioni compaiono nella parte interna della bocca, delle labbra, delle guance e della gola. Talvolta si manifestano anche sulla lingua.
Le afte sono delle ferite poco profonde, che sono circondate da un alone di colore rosso. Nei giorni successivi alla loro comparsa, su quell’alone solitamente compare una bolla o una vescicola. Quando si avverte più dolore, inoltre, significa che la bolla si è trasformata in un’ulcera aperta, molto infiammabile e infettata.
Queste piaghe hanno poi un diametro che va dai 2 ai 5 millimetri e possono comparire singolarmente, oppure in gruppo.
Le ulcere della bocca sono molto differenti dalle vesciche che hanno come causa principale la febbre. Queste ultime sono delle lesioni molto contagiose, che spesso sono state originate dal virus dell’herpes simplex.

Quando compaiono?

E’ raro che le afte compaiano nel periodo infantile. Di solito queste lesioni sono molto comuni negli adolescenti, colpiscono soprattutto le donne e si presentano in un’età compresa tra i 20 e i 50 anni.
E’ curioso sapere che queste ulcere capitano in misura minore a chi fuma, in quanto, secondo alcuni studiosi, la nicotina deve avere qualche proprietà che non permette l’insorgere delle infezioni.

Quali sono i sintomi?

I sintomi più comuni di un’afta sono: bruciore, prurito, e un fastidioso formicolio. La comparsa delle afte può anche essere accompagnata da un rigonfiamento dei linfonodi vicini.

Quali sono le cause?

Le cause delle ulcere della bocca sono molteplici. Innanzitutto queste lesioni possono comparire in presenza di un sistema immunitario debilitato. Queste piaghe si manifestano a volte dopo un intervento odontoiatrico e possono essere anche la conseguenza di uno squilibrio ormonale concomitante al periodo delle mestruazioni.
Pure i cambiamenti nella flora dell’intestino, lo stress, la stanchezza e lo spazzolamento troppo forte dei denti causano le afte.
In alcuni casi queste ultime si presentano, poi, dopo aver usato dei prodotti per l’igiene della bocca che contengono sodio lauril solfato, per un’allergia ai batteri del nostro cavo orale, per una mancanza di alcune sostanze, come la vitamina B-12, il ferro e lo zinco, e se un individuo soffre di alcune intolleranze nei confronti del cioccolato, del caffè, delle fragole, delle uova e dell’ananas.
Inoltre certe malattie favoriscono la comparsa delle afte. Stiamo parlando ad esempio delle infiammazioni croniche che colpiscono l’intestino, della malattia di Behcet e dell’AIDS, che causa una soppressione del nostro sistema immunitario.

Che rimedi sono efficaci?

Queste formazioni ulcerose della bocca scompaiono da sole nel giro di una o al massimo due settimane, quindi delle volte non è necessario usare alcun tipo di farmaco. Per favorire la guarigione delle afte ci sono comunque diversi rimedi naturali. Si può ad esempio diluire un pò di sale in un bicchiere d’aqua e fare dei risciacqui nella parte in cui c’è la lesione per tre volte alla settimana. E’ possibile anche applicare un pò di bicarbonato di sodio sull’afta e dopo risciacquare con acqua fredda, stando attenti a non sfregare sulla ferita.
Altri rimedi naturali consistono dunque nell’applicare una bustina di tè bagnata sulla bolla, oppure nel prendere un batuffolo di cotone imbevuto con l’acqua ossigenata e metterlo sull’afta per tre volte al giorno.
Il ghiaccio e i colluttori sono consigliati, perchè hanno quindi il potere di alleviare il dolore causato dalle piaghe della bocca.
Le afte possono scomparire, applicando su di esse per due vole al giorno pure un pochino di yogurt o di idrossido di magnesio.
Per accellerare la guarigione sono consigliati anche alcuni farmaci in compresse, come il Benactiv gola e le caramelle Benagol.

cefalea con aura in gravidanza

La cefalea con aura è caratterizzata dal fatto che il dolore è sempre preceduto o accompagnato da un’aura, una sensazione di disagio a cui fa seguito un deficit visivo con scotomi scintillanti, decurtazioni immediate e temporanee di parti del campo visivo, zigzag luminosi o ideogrammi iridescenti; in altri casi si avvertono manifestazioni di tipo sensoriale, dovute alla progressione della disfunzione verso la corteccia parietale, come torpore alle mani o ai piedi, formicolii, sensazione di punture di aghi o spilli. Anche i deficit di linguaggio come afasia o disartria transitorie possono, raramente, associarsi al disturbo visivo. Tali sintomi si sviluppano gradualmente in 5-20 minuti e sono generalmente di durata inferiore ad un’ora. La cefalea si instaura durante l’aura o immediatamente dopo, in un arco di tempo solitamente inferiore a 60 minuti.

L’esordio in gravidanza è meno frequente rispetto a quello di un’emicrania senza aura e può manifestarsi in donne che già ne soffrono nel periodo pre gestazione, circa la metà di tali donne, infatti, continua ad avere questo tipo di emicrania durante la gravidanza.

É comunque un’evenienza non molto comune che di solito si manifesta nel primo trimestre con un’incidenza che riguarda il 2% delle donne gravide. Al dolore si possono associare nausea, vomito, intolleranza verso i rumori e gli odori forti, fotofobia (fastidio accentuato verso fonti di luce), vertigini e sudorazione fredda. La cefalea migliora progressivamente dopo il primo trimestre in una percentuale dell’80% dei casi e ricompare successivamente nel post partum.

Solitamente la prima terapia consigliata è quella non farmacologica, fondata su uno stile di vita sano che garantisca il maggior benessere possibile con misure comportamentali riguardanti una corretta alimentazione con integrazione di acido folico, magnesio, vitamina B2 e coenzima Q, una moderata attività fisica, l’evitare situazioni di stress psico-fisico e il rispetto del ritmo sonno-veglia. A queste misure si possono poi associare: agopuntura, esercizi di rilassamento muscolare, esercizi di rilassamento del collo, biofeedback (tecnica praticata con l’utilizzo di un’apparecchiatura elettronica la quale registra l’attività muscolare nei punti dolenti del capo ed evidenzia con un segnale acustico o luminoso se la contrazione muscolare supera un dato limite), tecniche di gestione dello stress, impacchi freddi sulle zone doloranti, yoga, meditazione, training autogeno e ipnosi.

Nel caso in cui la terapia non farmacologica non sortisca effetti e compaiano più di due episodi debilitanti al mese si può far ricorso ai farmaci, sempre sotto controllo del proprio medico e unicamente nell’eventualità in cui i vantaggi per la donna e il feto prevalgano sui rischi potenziali e, in ogni modo, utilizzando in primis i prodotti per i quali sia contemplata la minore evidenza di rischio.

Cervicale mal di testa e vomito

Il mal di testa da cervicale è un disturbo molto diffuso, a soffrirne è circa il 50% della popolazione, di età compresa tra i 20 e i 60 anni. Ad esserne colpiti maggiormente sono gli uomini che vivono in città a causa dello stile di vita più sedentario, rispetto a coloro che vivono in campagna. Basta davvero poco, un periodo particolarmente stressante, un movimento scorretto, un infortunio; e la zona cervicale, che è la zona più sensibile della colonna vertebrale, si infiamma, generando forti cefalee, senso di vertigine, vomito e sbandamenti.

Quali sono i sintomi del mal di testa da cervicale?

Il mal di testa da cervicale é ben diverso dai mal di testa comuni e chi soffre di questa patologia lo sa benissimo. Il mal di testa da cervicale interessa tutta la zona cervicale, la nuca e si estende fino alle tempie e alla zona degli occhi. In alcuni casi, il mal di testa da cervicale, colpisce maggiormente solo un lato del cranio ed è molto simile all’emicrania. Chi soffre di questa patologia, però, non deve fare i conti solo con il mal di testa, ma anche con altri disturbi che sono ad essi collegati, tra cui:
– vista offuscata;
– sensibilità alla luce;
– sensibilità ai rumori molto forti;
– formicolio a braccia e mani;
– nausea e vomito;
– capogiri e vertigini;
– labirintite;
– stipsi;
– insonnia;
– stress.

Quanto dura un mal di testa da cervicale?

La durata di un mal di testa da cervicale è molto variabile, si va da un minimo di 10 minuti ad un massimo di un paio di giorni. Anche la frequenza è molto variabile, ad alcuni questo disturbo si presenta solo qualche volta l’anno, mentre ad altri anche più volte in una settimana.

Quali sono le cause del mal di testa da cervicale?

Se i sintomi sono abbastanza comuni e facili da individuare da chi ne soffre, non possiamo dire lo stesso per quel che riguarda le cause. Le cause del mal di testa da cervicale possono essere collegati a diversi fattori, vediamo i principali:
– sedentarietà, in questo caso, i muscoli sono poco allenati e anche un movimento sbagliato può far insorgere il mal di testa da cervicale;
– postura scorretta, tenere a lungo una postura scorretta, sia nelle ore diurne che notturne, può provocare l’infiammazione della zona cervicale. Non a caso, a soffrire di questo disturbo, sono coloro che lavorano molto al pc, dormono con cuscini sbagliati, autisti, ecc;
– origine traumatica, come un colpo di frusta, strappi muscolari, contratture, ecc;
– fattori genetici, riguarda quei pazienti che hanno una malformazione alla curvature della colonna vertebrale;
– malocclusione dentale, ovvero l’arcata dentale superiore e quella inferiore non combaciano, causando un’infiammazione cervicale;
– bruxismo, il continuo sfregamento dei denti, soprattutto nel ore notturne, può provocare un’infiammazione della mascelle e della zona cervicale;
– stress.

Come avviene la diagnosi?

Se si sospetta di soffrire di questa patologia, bisogna rivolgersi ad un fisiatra che, dopo un’attenta anamnesi, sarà in grado di indicare la terapia più adatta al paziente. In alcuni casi, bisogna sottoporsi ad alcuni esami, tra cui raggi X, TAC, risonanza magnetica, ecc.

Cura

Se il mal di testa da cervicale è un episodio sporadico, si può trattare con farmaci analgesici a base di paracetamolo o ibuprufene. Per i casi più gravi si ricorre all’utilizzo di antinfiammatori, ma se il mal di testa da cervicale è piuttosto frequente, la cura a base antinfiammatori viene affiancata da massaggi e terapie fisiche.

Già stressati a 4 mesi: ecco come soffrono lo stress i neonati

Sembra davvero incredibile ma la scienza pare non avere dubbi in merito: i neonati di soli 4 mesi sono già sottoposti a uno stato di stress. Il male tipico della nostra società colpisce quindi fin dai primi momenti della vita e, certo, non si tratta di una buona notizia.

neonati

La ricerca in merito al fenomeno è stata condotta da un team di ricercatori italiani facenti parte dell’Ircss Medea di Bosisio Parini. I dati emersi dallo studio hanno scosso il mondo scientifico dopo la loro pubblicazione su una rivista medica. Di certo scoprire che a 4 mesi lo stress si fa già sentire non può lasciare indifferenti ma le modalità della ricerca parlano chiaro. Gli studiosi hanno indotto nel neonato un meccanismo di lieve stress raccomandando alla mamma del piccolo di evitare, per un ridotto periodo di tempo, ogni comunicazione con il bambino. Durante l’esperimento, quindi, la madre non deve toccarlo, né parlargli e il suo volto deve sforzarsi di mantenere un’espressione completamente neutra e priva di ogni emozione. Il neonato, posto di fronte a questa nuova condizione ha un’immediata reazione negativa, si agita, piange, reclama attenzione e manifesta desiderio di essere coccolato e preso in braccio. Atteggiamenti positivi come sorrisi o versetti rivolti alla madre vengono istantaneamente abbandonati per lasciar posto a proteste a a comportamenti di tipo compensatorio e sostitutivo dell’affetto materno come, per esempio, mettersi il dito in bocca. A questo punto il team ha voluto indagare anche i livelli di memoria dei neonati sottoposti all’esperimento. Un gruppo è stato sottoposto all’esperimento stressante 2 volte, a 4 mesi e dopo altri 15 giorni di distanza dal primo esperimento. Il secondo gruppo, al contrario, ha affrontato l’esperimento un’unica volta all’età di 4 mesi e 15 giorni. I risultati hanno mostrato come di fronte allo stress i bambini ripetevano il comportamento della prima volta senza sostanziali modifiche, ma i loro livelli ormonali subivano significativi cambiamenti con delle varianti individuali. In particolar modo risultava particolarmente fluttuante, specialmente in alcuni individui più sensibili, la concentrazione di cortisolo. Questo ormone, destinato a regolare il metabolismo di proteine, grassi e zuccheri, nei piccoli appartenenti al primo gruppo risultava dimezzato mentre, in quelli esposti per la seconda volta era raddoppiato, dimostrando come l’evento fosse stato più stressante. Il gruppo di neonati già sottoposti a stress era quindi in grado di ricordare, anche a distanza di due settimane, il lieto fine del primo esperimento e, di conseguenza, reagiva con maggiore tranquillità alla seconda esposizione. Montirosso, direttore del team di ricerca, ha quindi concluso che la memoria di un evento stressante si manifesta nei bambini di 4 mesi sotto forma fisiologica e non comportamentale.

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Dati mondiali sul fumo: ecco le novità!

Dalla collaborazione delle Università di Washington di Melbourne sorgono i nuovi dati mondiali riguardanti i consumi di tabacco nel panorama attuale: se da una parte risulta che il consumo pro capite stia notevolmente diminuendo, il numero dei fumatori è tuttavia paradossalmente in aumento. Vediamo perché…

fumo

Negli ultimi trent’anni il consumo giornaliero di tabacco è diminuito in percentuale variabile dal 25 al 42%, rispettivamente in individui di sesso maschile e femminile.
Tuttavia, l’esponenziale crescita demografica mondiale incrementa del 41% il numero dei fumatori uomini e del 7% la porzione mondiale femminile di fumatrici.

Dopo ben cinquant’anni si ottiene il secondo rapporto dell’Us Surgeon General sul fumo e sui rispettivi effetti riversati sulla popolazione.
A distanza di quasi mezzo secolo la sostanza rimane invariata: il tabacco e la sua diffusione continuano a influenzare negativamente la popolazione terrestre a ogni latitudine.
Si registrano nel solo anno 2012 circa 5.7 milioni di morti a causa del fumo, un 6,9% di anni di vita persi irrimediabilmente e un 5,5% di anni di vita trascorsi pienamente nella disabilità.

Le stime fornite dal Tobacco Atlas, riportanti dati relativi a fumo per età e sesso in quasi 190 paesi del mondo negli ultimi 32 anni, dal 1980 al 2012, sono molto utili. Tuttavia, come afferma una ricercatrice, vi è la necessità di chiarire delle strategie utili e attuabili di contenimento e di monitoraggio preciso di distribuzione e consumo nella popolazione generale.

Dalle stime risulterebbe un calo di consumo giornaliero pro capite modesto tra il 1980 e il 1996, il quale tuttavia sembra attenuarsi dal 2006 al 2012 dopo un intermedio decennio decisivo.

Le stime negative degli ultimi 6 anni si devono difatti all’aumento dei fumatori a partire dal 2006 in diversi stati molto densamente popolati tra cui Bangladesh, Cina, Indonesia e Russia.
Dunque, sebbene risulti una riduzione notevole del singolo consumo, l’aumento della popolazione sopra i 15 anni genera un consequenziale aumento del numero dei fumatori, raggiungendo una quota di 976 milioni del 2012, 250 milioni in più in soli 30 anni.

Buone nuove invece dal Bel Paese, dove,in conseguenza alla legge sul divieto di fumo, alle campagne di sensibilizzazione e ai vari progetti d’assistenza nazionali e regionali, la popolazione fumatrice è in costante diminuzione.
Questa discesa è lenta e non repentina, ma costituisce tuttavia un miglioramento.
Secondo i dati Istat, dal 2003 – anno durante il quale vennero attuate le restrizioni legislative antifumo – al 2009, la percentuale di fumatori Italiani è diminuita di circa 0,8 punti, passando da un 23,8% ad un 23% netto.

Oltre ad un costante monitoraggio serve dunque un’adeguata sensibilizzazione, specialmente nei paesi in via di sviluppo, particolarmente vessati dall’industria del tabacco.

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La tecnologia che fa male alla pelle

In un’epoca in cui la tecnologia è entrata in quasi tutte le fasi della nostra giornata lavorativa e non, siamo costretti a chiederci se la tecnologia sia o meno un possibile rischio per la nostra salute e per la nostra pelle.

parlare-al-cellulare
Sin dall’uscita dei primi telefoni cellulari ci si è chiesti se se le onde prodotte dall’apparecchio fossero pericolose per l’uomo, ma solo recentemente ci si è chiesti se tutti i materiali venuti a contatto con la nostra pelle siano stati attentamente studiati ed esaminati, allo scopo di prevenire fastidiose e talvolta estremamente dannose reazioni allergiche o irritazioni.
Riportando i risultati di uno studio pubblicato qualche mese fa in una prestigiosa rivista internazionale di dermatologia, evinciamo che, su un campione di cinquanta modelli di telefoni cellulari, circa il 20% presentava parti metalli contenente nichel a stretto contatto con l’epidermide del consumatore.
Ma questo è solo uno dei tanti esempi di cui si potrebbe parlare. Purtroppo, ancora oggi, sia per quanto riguarda il nostro tempo libero ma anche sul posto di lavoro, siamo costretti a subire un’aggressivo inquinamento ambientale provocato dal contatto o l’inalazione di sostanze chimiche e non. E questo non è limitato ai telefoni cellulari, oggetto oramai alla portata di tutti, anche dei bambini più piccoli i quali lo utilizzano come giocattolo quando giocattolo non è.
Ciò vale anche per molti altri oggetti facenti parte del nostro quotidiano quali tablet, computer, elettrodomestici, batterie, per non parlare di ciò che respiriamo una volta messo il naso fuori di casa, fino ad arrivare ai contenitori per alimenti ed alle protesi dentarie! Insomma, una vera e propria invasione denunciata anche dalla Società italiana di dermatologia allergologica, professionale e ambientale (Sidapa).
La suddetta associazione, riunitasi in congresso, ha evidenziato dati allarmanti: ad esempio, negli ultimi dieci anni, i casi allergici riconducibili ai metalli pesanti prodotti dalle marmitte catalitiche quali ad esempio il palladio, sono aumentati di almeno dieci punti percentuali.
Allo stesso modo, si sono registrati numerosi casi di patologie cutanee e dermatiti avvenute sullo stesso posto di lavoro, situazioni in cui nel 7% dei casi, il soggetto ha dovuto lasciare la propria posizione lavorativa per grave incompatibilità con l’ambiente professionale.
Tutto ciò, incredibilmente avviene nonostante le precise direttive europee emanate nel 2009 con lo scopo di limitare la presenza di materiali nocivi quale ad esempio il nichel, in tutti i prodotti commercializzati all’interno dell’Unione Europea.
Purtroppo, queste sostanze estremamente dannose per l’organismo umano, sono ancora molto utilizzate in tantissimi prodotti di uso quotidiano, utilizzati da ogni classe sociale ed a ogni età.
La soluzione arriva dallo stesso convegno del Sidapa, suggerita dagli stessi dermatologi: monitorare con estrema attenzione le sostanze immesse nell’ambiente con lo scopo di prevedere le possibili interazioni con le sostanze già presenti, al fine di evitare ulteriori rischi per la nostra salute.
Nella speranza che i produttori abbraccino totalmente le direttive europee già promulgate.

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Giocattoli per neonati prematuri

Oggi sono molto frequenti le gravidanze che si concludono prima del termine previsto ma, come è noto, ciò può provocare disturbi neuropsichici.

neonato
Per tale motivo, data l’elevata percentuale di bambini nati prematuramente in tutto il mondo, i medici hanno deciso di tenerli sotto controllo ed osservare l’evoluzione del sistema nervoso, grazie all’uso di giocattoli intelligenti.
Questi giocattoli sono dotati di speciali sensori grazie ai quali si possono testare i progressi di ogni singolo bebè e, nel caso fosse opportuno, intervenire immediatamente.
La tempestività è importante, dal momento che un intervento mostra la sua efficacia solo durante il primo anno di vita.
Grazie ai giocatoli per bambini prematuri, si potranno ricavare informazioni come lo sviluppo dei movimenti, il numero delle prese dell’oggetto e così via.
Questi giocattoli però non sono ancora disponibili per le famiglie, siccome l’Istituto di biorobotica insieme all’Università di Lubiana ed Amburgo ed altri centri, ne stanno ancora testando la validità e funzionalità.
La sperimentazione sarà eseguita per un anno intero, trascorso il quale questi giocattoli monitoreranno lo sviluppo di tutti i bimbi nati prematuramente.

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Dove sono i migliori ospedali d’Italia

Il portale Dove mi curo, che ha valutato più di 1.200 ospedali basandosi su circa 50 indicatori di qualità, ha stabilito che si trovano in Lombardia le più eccellenti strutture ospedaliere.

ospedale

Secondo il portale Dove mi curo, sono gli ospedali lombardi ad aggiudicarsi la palma di migliori strutture ospedaliere d’Italia. Il portale, che è gestito dal dipartimento di Sanità pubblica dell’Università Cattolica di Roma, prendendo in considerazione una cinquantina di parametri per la valutazione della qualità riconosciuti a livello internazionale (come ad esempio la mortalità a trenta giorni dal ricovero per un infarto, o in seguito all’intervento di asportazione di un tumore) ha infatti sancito la netta superiorità di tre strutture della Lombardia e di una della regione Lazio, che si sono aggiudicate tutte, a pari merito, il primo posto: si tratta degli Spedali Civili di Brescia, dell’Ospedale di Magenta in provincia di Milano, del Centro Cardiologico Monzino, sempre di Milano e dell’Azienda ospedaliera S. Andrea di Roma.
Il portale ha scelto le strutture tra le 1.233 che ha recensito allo scopo di informare il pubblico sulla qualità dei servizi cura che vengono forniti. Da segnalare, inoltre, la quarta e la quinta posizione, occupate rispettivamente dall’Ospedale dei bambini V. Buzzi di Milano e dall’Ospedale città di Sesto San Giovanni.

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Nuovi farmaci per l’autismo

Una nuova frontiera è stata superata dalla scienza. Alcuni medici hanno infatti reso noto di aver scoperto nuovi farmaci per curare l’autismo, una malattia che sempre più spesso colpisce i bambini.

autismo

Stando a recenti studi infatti è stato evidenziato come un ragazzo su 88 sia vittima di questo disturbo. L’autismo, chiamato anche Sindrome di Kanner, è una patologia cerebrale che costringe i bambini a vivere in un mondo tutto loro. Nessun contatto con la realtà, poche possibilità di stringere relazioni di amicizia, minimo interesse verso le attività svolte quotidianamente dai loro coetanei. La persona autistica, se non viene seguita costantemente da esperti, può anche dar vita a comportamenti potenzialmente ‘pericolosi’ nei confronti degli altri individui. Oggi però la scienza è riuscita a superare una nuova frontiera. “Abbiamo fatto giganteschi passi avanti”, ha dichiarato Antonio Persico, professore di Neuropsichiatria Infantile al Campus Bio-Medico. “In questo momento infatti c’è una mezza dozzina di farmaci che è in fase finale di studio”. Antonio Persico è il maggior esponente italiano all’interno dell’European Autism Interventions (Eu-Aims), la ricerca impegnata nello sviluppo di nuovi approcci terapeutici contro l’autismo. “Le nostre conoscenze scientifiche”, ha aggiunto lo studioso, “hanno finalmente raggiunto la massa critica necessaria per passare alla loro traduzione in metodi diagnostici e in agenti terapeutici innovativi”. Sono stati cioè messi a punto nuovi farmaci che dovrebbero aiutare le persone affette e afflitte dall’autismo: “In questo momento c’è una mezza dozzina di farmaci in fase di sviluppo”, ha evidenziato Persico. Questi medicinali però sono pensati esclusivamente per migliorare i sintomi cardine dell’autismo. Non si tratta cioè di cure che possono favorire la socializzazione degli autistici, né di farmaci che potranno colmare il deficit comunicativo di queste persone. “Non sono farmaci pensati per i sintomi di accompagnamento dell’autismo, come agitazione, insonnia o altro, ma queste cure ci danno davvero molta speranza”. Il vero cruccio di queste nuove medicine sta nel fatto che non possono essere utilizzate in maniera indifferente da tutti gli individui autistici. Questa malattia infatti è piuttosto eterogenea e un farmaco che funziona su un paziente non è garantito che possa funzionare anche su un altro. A chi gli chiede se la scienza potrà finalmente vincere la battaglia dell’autismo infatti, Antonio Persico risponde con grande franchezza: “Non proprio, ci sono ancora delle difficoltà. E’ necessario identificare i diversi sottogruppi di pazienti che abbiano la possibilità di rispondere al farmaco x o a quello y. Questi sono medicinali che funzionano con meccanismi di azione molto diversi”. Si rende quindi necessaria una sorta di ‘mappatura’ dei diversi sottogruppi. I medici cioè devono capire la possibilità che un farmaco possa funzionare su un determinato paziente in base alle sue caratteristiche cliniche e neurobiologiche. Solo in questo modo si potrà dare una stima abbastanza precisa della probabilità che un certo medicinale funzioni o meno su un certo malato. Ulteriori studi dunque che saranno necessari approfondire per migliorare ancora di più l’efficacia delle nuove scoperte. Il rischio infatti, qualora non venissero eseguiti esami dettagliati, è piuttosto evidente. Un farmaco potenzialmente valido potrebbe essere classificato come non-valido solo perché somministrato a un paziente ‘sbagliato’. Un paziente cioè che, a causa delle proprie caratteristiche, potrebbe reagire negativamente a quel particolare medicinale .
L’obiettivo finale è stato dichiarato dallo stesso Antonio Persico: “Bisogna trovare una risposta adeguata per ogni sottogruppo. In modo che un giorno tramite non solo l’osservazione clinica, ma anche tramite un esame del sangue o un esame neuro radiologico, saremo in grado di dire: a questo bambino serve questa terapia per questo periodo di tempo”.

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Dentista: ci rinuncia una famiglia su tre

Una famiglia su tre non va più dal dentista. La crisi economica, oltre a far piangere il portafoglio, rischia seriamente di essere nociva anche per la salute.

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A renderlo noto è uno studio dell’Osservatorio Analisi Statistiche Amica Card. “Gli italiani hanno tagliato le cure odontoiatriche”, hanno annunciato i ricercatori. “Una famiglia su tre non porta più i figli dal dentista e le richieste di apparecchi ortodontici sono scesi del 40 per cento”. Lo studio ha evidenziato come quasi la metà degli italiani (47%), con un’età media di 30 anni, non sono più entrati in un ambulatorio dentistico nell’ultimo anno. Il 32% invece, a meno di emergenze, ha dichiarato che non ci andrà in futuro. Un drastico calo dunque che rischia seriamente di bloccare l’economia nazionale. Anche perché, fanno sapere i medici, sempre più italiani hanno deciso di rivolgersi a studi dentistici esteri: Ungheria e Romania hanno i prezzi più bassi d’Europa, mentre circa l’11% dei cittadini della penisola ha ammesso di aver provato alcune offerte dei gruppi di acquisto per cure come sbiancamento, corone dentali e pulizie dei denti. I dati sono stati resi noti in base alle prenotazioni degli italiani in oltre 3500 dentisti convenzionati, in collaborazione con l’Istituto Auxologico, gli Istituti Clinici Zucchi e l’Ospedale San Raffaele.

Come se non bastasse sembrano essere cambiate anche le abitudini degli italiani: sembra infatti che sempre più persone vogliano ricevere un preventivo prima di scegliere in maniera definitiva il dentista dal quale andare. Ecco perché sono diminuiti i pazienti a Bologna e Milano, i capoluoghi più costosi della penisola. E’ Napoli invece la città più conveniente: un’otturazione nel capoluogo campano costa 70 euro, a Milano il prezzo si impenna anche fino ai 250 euro.

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