Male a destra della pancia

Varie sono le cause che possono ricondurre al sintomo di male all’addome destro, poichè gli organi che interessano questa zona dell’organismo sono: fegato, colecisti, pancreas e colon.
Principalmente questo sintomo viene associato alle vie biliari, ed è definito colica biliare, che potrebbe essere causata dalla presenza nelle colecisti di calcoli o fanghiglia biliare.
Spesso se questo sintomo aumenta di intensità, il paziente potrebbe essere raggiunto da sensazione di nausea e vomito, accompagnato da gonfiore all’addome, che nei casi più estremi, potrebbe irradiarsi fino alla spalla destra. Qualora il paziente presentasse febbre, si potrebbe trattare di un processo batterico che infetta le vie biliari, tale sintomo e chiamato colangite.
Trattandosi di infezioni, le terapie da seguire sono a base di antibiotici, senza però trascurare un’alimentazione corretta e una costante supervisione dei valori interessati.

mal-di-pancia
Come detto il dolore all’addome destro potrebbe scaturire da altri fattori che interessano altri organi, ad esempio potremmo essere in presenza di ulcere peptiche o gastriti, causate dall’affezione del duodeno o della regione gastrica pre-pilorica.
Si parla di affezione al duodeno, se il sintomo di dolore si presenta qualche ora dopo i pasti, anche stavolta nei casi estremi il dolore potrebbe diffondersi fino al dorso sotto la scapola destra.
La terapia da seguire è basata sull’assunzione di farmaci e cibi antiacidi, che agiscono principalmente sulla mucosa gastrica, riducendo così l’emissione di gastrina in eccesso che viene considerata la causa dell’ulcera duodenale.
Nei casi in cui il dolore si presenta sotto forma di bruciore, seguito da sintomi di nausea vomito e crampi, quasi certamente si è in presenza di una pancreatite acuta, ovvero la completa infiammazione del pancreas, dal quale scaturisce un blocco alle vie biliari provocando in alcuni casi anche la morte del paziente. Questo sintomo potrebbe dipendere anche da un tumore al pancreas stesso.
Il paziente dovrà rimanere a digiuno totale fin quando non si sia esplicata una diagnosi approfondita, nei casi meno gravi si somministrano anti infiammatori e sacche nutritive.
L’altro organo che potrebbe presentare affezioni o irritazioni qualora dolesse l’addome nella parte destra, è il colon.
Al dolore si associano altri sintomi tra i quali pancia gonfia e sensazioni di spasmo, questa sindrome viene chiamata dai medici “flessura epatica”, in questi casi nel paziente, a causa della distensione gassosa del colon, si originano delle coliche gassose che portano spesso ad elevate sudorazioni, con possibili svenimenti accertati nei pazienti più sensibili.
Succede anche che a questi sintomi si aggiungano quelli di stipsi e diarrea, la quale diagnosi è definita tecnicamente sindrome del colon irritabile, che viene trattata con i cosiddetti antispastici e con un’alimentazione controllata.
Anche l’appendice potrebbe essere la causa del dolore al lato destro della pancia, infatti se l’appendice fosse infiammata, il paziente accuserebbe un doloroso gonfiore proprio nella parte destra, i sintomi associati sono diversi, vomito nausea stitichezza o diarrea, in alcuni casi il paziente affetto da infiammazione all’appendice trova difficoltà ad espellere i gas.
Poichè l’appendice potrebbe scoppiare facilmente, permettendo ai batteri di espandersi agli organi vicini, la terapia indicata è la completa asportazione con intervento chirurgico.

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Troppi casi di morbillo in Italia

Trasmesso per via aerea e caratterizzato da un periodo di incubazione che va dai 10 ai 12 giorni, il morbillo è una malattia infettiva estremamente facile alla diffusione. La facilità del contagio, le afflizioni generate alle vie respiratorie -suscettibili di complicazioni- e la violenta manifestazione esantematica, hanno reso necessaria una accurata politica di profilassi.
La più importante forma di prevenzione per il morbillo attualmente a disposizione è una apposita vaccinazione, che viene somministrata a partire dal compimento del primo anno, fino al quindicesimo mese d’età. A questa prima somministrazione del vaccino deve seguire un richiamo, da effettuarsi tra il quinto e il sesto anno di età del bambino. A fronte di queste vaccinazioni, l’immunità è definitiva.

morbillo-il-morbillo

Nonostante le disposizioni attuate per la prevenzione del morbillo e le capillari vaccinazioni, i dati raccolti dall’Ecdc (European Center for Diseases Control) -in relazione al periodo che va dal novembre 2012 all’ottobre 2013- rivelano la presenza in Italia di un alto numero di casi di morbillo.
Sono ben 12.000, infatti, i casi censiti nel nostro paese: un record negativo che ci colloca in prima posizione tra le nazioni in cui l’incidenza di questa malattia è ancora notevole.
Seguono l’Italia nella classifica, secondo i dati raccolti dalla stessa Ecdc, Germania, Gran Bretagna e infine Olanda e Romania.
Il progetto di debellare morbillo e rosolia -altra malattia esantematica oggetto di vaccinazione congiunta a morbillo e parotite- entro il prossimo 2015 sembra, quindi, ancora lontano. L’obiettivo da raggiungere è segnato dai risultati raggiunti dal virtuoso Portogallo, che attualmente rappresenta il fanalino di coda nella classifica di incidenza di queste malattie.

La strada da seguire sembra essere quella della prevenzione, rendendo necessario un aumento capillare del numero di vaccinazioni. Sembra, infatti, che quasi il 90% dei casi rilevati coincida con soggetti non vaccinati, o non vaccinati completamente. Un dato, questo, che rivela la primaria importanza della profilassi nell’arginare il diffondersi del morbillo.
A fronte dei rari e poco importanti effetti collaterali del vaccino, che si manifestano come lievi e transitori episodi febbrili o rossori localizzati, la vaccinazione rappresenta infatti il mezzo più efficace per evitare il diffondersi del morbillo. Un passo importante, se si considera il pericolo di questa malattia e le sue possibili complicazioni, in alcuni casi anche gravissime. Tra queste, per esempio, si annoverano casi di polmonite e di encefalite morbillosa, capace di portare al decesso o di produrre danni permanenti in ben la metà dei pazienti colpiti.

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Meditazione contro depressione e ansia

La meditazione si rivela utile e particolarmente efficace per aiutare a combattere e a sconfiggere disturbi, come l’ansia e la depressione, che condizionano la nostra quotidianità, rendendo la vita molto più difficile. Ad affermare e confermare ciò sono svariati studi scientifici fatti in merito, che documentano quanto sia benefica attuare la pratica meditativa in situazioni delicate, specialmente quando si vive con uno stato d’animo ansioso e/o depresso.
A tutti è capitato almeno una volta nella vita di sentirsi un pò giù, o tristi, magari per qualche evento particolare che ha colpito la nostra esistenza, o particolarmente demotivati e stanchi per colpa dei ritmi frenetici che si conducono tutti i giorni. Ci si distrae facilmente, l’ansia, lo stress e l’irrequietezza prendono il sopravvento, e tutto diventa ingestibile.

meditazione

Chi è colpito da uno stato ansioso e/o depresso, di solito incorre in sintomi che hanno una costante nel tempo; si vivono emozioni, sentimenti e pensieri negativi che fanno avvertire un senso di insoddisfazione perenne, denominato spesso come “mal di vivere”.
Sono numerose le persone che soffrono di ansia e/o depressione; questo lo dimostra l’eccessiva vendita di ansiolitici e antidepressivi che avviene ogni giorno. Certamente si tratta di farmaci utili e necessari per il controllo e la gestione dei sintomi dell’ansia e della depressione, ma nell’insieme recano anche vari effetti indesiderati, come: in primis la dipendenza e poi la sonnolenza.

Senza dubbio la strada da percorrere per contrastare l’ansia e la depressione è certamente lunga e difficile; nel proseguire verso il cammino della guarigione, oltre ai farmaci, ci possono essere anche altre alternative, ad esempio la meditazione. I molteplici effetti benefici che apporta la meditazione, sono ormai noti da tanto tempo, ma in realta cosa significa praticare la meditazione?

La meditazione è una pratica con origini antichissime, che affonda le sue radici in varie dottrine religiose. Principale ed unico obiettivo della pratica meditativa è quello di liberare e svuotare la mente da ogni tipo di pensiero, per cercare di raggiungere uno stato di profondo rilassamento, un equilibrio interiore e sentirsi in armonia con il “tutto”.
L’approccio meditativo che si espica attraverso la pratica di alcuni esercizi (tecniche di visualizzazione, concentrazione sul proprio respiro, recitazione dei mantra, esecuzione di movimenti corporei) permette di curare le proprie ferite emotive, i propri disagi più profondi, per ritornare a vivere e vibrare di una nuova linfa vitale.

Chi medita quotidianamente, riesce a percepire che corpo, mente e anima sono un tutt’uno. Le esercitazioni meditative dovrebbero essere regolari e costanti nel tempo, bastano anche pochi minuti al giorno; solo così si possono ottenere benefici duraturi.
La meditazione dunque, nonostante abbia mostrato significativi miglioramenti per disturbi di ansia e depressione, oltre ad essere presa in considerazione da coloro che soffrono di tali disagi, può essere altrettanto considerata da tutti coloro che ne vogliono beneficiare.

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Già stressati a 4 mesi: ecco come soffrono lo stress i neonati

Sembra davvero incredibile ma la scienza pare non avere dubbi in merito: i neonati di soli 4 mesi sono già sottoposti a uno stato di stress. Il male tipico della nostra società colpisce quindi fin dai primi momenti della vita e, certo, non si tratta di una buona notizia.

neonati

La ricerca in merito al fenomeno è stata condotta da un team di ricercatori italiani facenti parte dell’Ircss Medea di Bosisio Parini. I dati emersi dallo studio hanno scosso il mondo scientifico dopo la loro pubblicazione su una rivista medica. Di certo scoprire che a 4 mesi lo stress si fa già sentire non può lasciare indifferenti ma le modalità della ricerca parlano chiaro. Gli studiosi hanno indotto nel neonato un meccanismo di lieve stress raccomandando alla mamma del piccolo di evitare, per un ridotto periodo di tempo, ogni comunicazione con il bambino. Durante l’esperimento, quindi, la madre non deve toccarlo, né parlargli e il suo volto deve sforzarsi di mantenere un’espressione completamente neutra e priva di ogni emozione. Il neonato, posto di fronte a questa nuova condizione ha un’immediata reazione negativa, si agita, piange, reclama attenzione e manifesta desiderio di essere coccolato e preso in braccio. Atteggiamenti positivi come sorrisi o versetti rivolti alla madre vengono istantaneamente abbandonati per lasciar posto a proteste a a comportamenti di tipo compensatorio e sostitutivo dell’affetto materno come, per esempio, mettersi il dito in bocca. A questo punto il team ha voluto indagare anche i livelli di memoria dei neonati sottoposti all’esperimento. Un gruppo è stato sottoposto all’esperimento stressante 2 volte, a 4 mesi e dopo altri 15 giorni di distanza dal primo esperimento. Il secondo gruppo, al contrario, ha affrontato l’esperimento un’unica volta all’età di 4 mesi e 15 giorni. I risultati hanno mostrato come di fronte allo stress i bambini ripetevano il comportamento della prima volta senza sostanziali modifiche, ma i loro livelli ormonali subivano significativi cambiamenti con delle varianti individuali. In particolar modo risultava particolarmente fluttuante, specialmente in alcuni individui più sensibili, la concentrazione di cortisolo. Questo ormone, destinato a regolare il metabolismo di proteine, grassi e zuccheri, nei piccoli appartenenti al primo gruppo risultava dimezzato mentre, in quelli esposti per la seconda volta era raddoppiato, dimostrando come l’evento fosse stato più stressante. Il gruppo di neonati già sottoposti a stress era quindi in grado di ricordare, anche a distanza di due settimane, il lieto fine del primo esperimento e, di conseguenza, reagiva con maggiore tranquillità alla seconda esposizione. Montirosso, direttore del team di ricerca, ha quindi concluso che la memoria di un evento stressante si manifesta nei bambini di 4 mesi sotto forma fisiologica e non comportamentale.

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Dati mondiali sul fumo: ecco le novità!

Dalla collaborazione delle Università di Washington di Melbourne sorgono i nuovi dati mondiali riguardanti i consumi di tabacco nel panorama attuale: se da una parte risulta che il consumo pro capite stia notevolmente diminuendo, il numero dei fumatori è tuttavia paradossalmente in aumento. Vediamo perché…

fumo

Negli ultimi trent’anni il consumo giornaliero di tabacco è diminuito in percentuale variabile dal 25 al 42%, rispettivamente in individui di sesso maschile e femminile.
Tuttavia, l’esponenziale crescita demografica mondiale incrementa del 41% il numero dei fumatori uomini e del 7% la porzione mondiale femminile di fumatrici.

Dopo ben cinquant’anni si ottiene il secondo rapporto dell’Us Surgeon General sul fumo e sui rispettivi effetti riversati sulla popolazione.
A distanza di quasi mezzo secolo la sostanza rimane invariata: il tabacco e la sua diffusione continuano a influenzare negativamente la popolazione terrestre a ogni latitudine.
Si registrano nel solo anno 2012 circa 5.7 milioni di morti a causa del fumo, un 6,9% di anni di vita persi irrimediabilmente e un 5,5% di anni di vita trascorsi pienamente nella disabilità.

Le stime fornite dal Tobacco Atlas, riportanti dati relativi a fumo per età e sesso in quasi 190 paesi del mondo negli ultimi 32 anni, dal 1980 al 2012, sono molto utili. Tuttavia, come afferma una ricercatrice, vi è la necessità di chiarire delle strategie utili e attuabili di contenimento e di monitoraggio preciso di distribuzione e consumo nella popolazione generale.

Dalle stime risulterebbe un calo di consumo giornaliero pro capite modesto tra il 1980 e il 1996, il quale tuttavia sembra attenuarsi dal 2006 al 2012 dopo un intermedio decennio decisivo.

Le stime negative degli ultimi 6 anni si devono difatti all’aumento dei fumatori a partire dal 2006 in diversi stati molto densamente popolati tra cui Bangladesh, Cina, Indonesia e Russia.
Dunque, sebbene risulti una riduzione notevole del singolo consumo, l’aumento della popolazione sopra i 15 anni genera un consequenziale aumento del numero dei fumatori, raggiungendo una quota di 976 milioni del 2012, 250 milioni in più in soli 30 anni.

Buone nuove invece dal Bel Paese, dove,in conseguenza alla legge sul divieto di fumo, alle campagne di sensibilizzazione e ai vari progetti d’assistenza nazionali e regionali, la popolazione fumatrice è in costante diminuzione.
Questa discesa è lenta e non repentina, ma costituisce tuttavia un miglioramento.
Secondo i dati Istat, dal 2003 – anno durante il quale vennero attuate le restrizioni legislative antifumo – al 2009, la percentuale di fumatori Italiani è diminuita di circa 0,8 punti, passando da un 23,8% ad un 23% netto.

Oltre ad un costante monitoraggio serve dunque un’adeguata sensibilizzazione, specialmente nei paesi in via di sviluppo, particolarmente vessati dall’industria del tabacco.

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Attenzione al sovrapeso: per le donne rischio sordità

Il sovrappeso è un problema, anzi un patologia che interessa tutti indistintamente, dai bambini agli adulti ed è una delle malattie maggiormente diffuse nella nostra moderna società. Tuttavia, da una recente ricerca americana, si è evidenziata una relazione fra il sovrappeso femminile ed i problemi legati alla sordità. Quindi, il sovrappeso non è più solo un problema estetico, con cui le donne sono solite combattere, ma è anche un vero e proprio problema di salute che, a quanto pare, va ad influenzare anche l’apparato uditivo. Ma prima si soffermarci sulla ricerca, spieghiamo brevemente cosa si intende per sovrappeso e quanto ciò influenzi la vita di chi ne soffre.

Orecchio
Quando parliamo di obesità ci riferiamo ad un accumulo di grasso in maniera anomala e sproporzionata, che comporta grossi rischi per la salute umana, la cui causa è dovuta ad un accumulo eccessivo di calorie che non vengono smaltite dall’organismo. Sovrappeso ed obesità sono influenzati da una serie di fattori fra cui la predisposizione ereditaria, ma anche fattori ambientali e comportamentali come lo può essere una gravidanza. Ma fondamentale alla base di tutto è l’introduzione di cibi dannosi per la salute e il poco movimento fisico.
Secondo al ricerca effettuata da uno studio americano e pubblicato poi sull’American journal of medicine, di Boston, pare che le donne obese siano maggiormente a rischio di sordità. L’indagine effettuata su un maxi campione di 68 mila donne, è emerso che dal 22 al 25% di esse rischiano di diventare sorde, mentre per le donne con un girovita maggiore di 87 cm, il rischio di sordità aumenta fino al 27% in più rispetto a quelle con un girovita di 71 cm.
Ma come mai esiste questo legame fra grasso accumulato e sordità? Cosa c’è in comune fra i due elementi? Il motivo è legato al fatto che l’obesità non fa defluire il sangue e quindi ne ostacola il passaggio anche alle orecchie, che sono una zona del nostro corpo, ricca di vasi sanguigni. In secondo luogo, l’obesità provoca l’ipertensione che a sua volta ostacola la circolazione sanguigna.
Sicuramente un modo per evitare di incorrere in certe situazioni esiste e, secondo il parere dei medici dipende esclusivamente dalla possibilità di fare dello sport, che ridurrebbe il rischio di sordità del 15%.
E’ ovvio che, anche la dieta è importante per poter evitare il rischio di obesità, ma le diete miracolose non esistono. Inoltre le diete che escludono o limitano l’uso di certi alimenti a favore esclusivamente di altri, non sono consigliabili in quanto mancano di alcuni nutrienti importanti, che sono fondamentali per l’organismo. E per giunta, creano il classico effetto yo-yo, con il rischio di forti diminuzioni di peso e poi aumenti eccessivi anche del doppio.
Insomma è importante mantenere uno stile di vita sano, con una giusta alimentazione e con l’ausilio di un’ attività sportiva adeguata. Solo così sarà possibile scongiurare il rischio di qualsiasi patologia, fra cui anche della sordità delle donne.

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