Madri tutor a supporto delle vittime di violenza domestica

La violenza domestica rappresenta uno dei principali problemi del mondo femminile, per questo sono nate molte associazione, come Donne in Rete, la Cooperativa Sociale Cerchi d’Acqua, numerose case e centri di accoglienza, volti a tutelare la sicurezza delle donne che hanno subito maltrattamenti.

madri tutor
I dati rivelano che la maggior parte delle donne subisce maltrattamenti psicologici e fisici, causati soprattutto dai rispettivi coniugi o dai partner, provocando gravi danni allo stato di salute delle vittime, oltre a favorire la caduta in uno stato depressivo e d’isolamento.
Per tale motivo, grazie ad uno studio olandese, è stato stabilito un programma volto a dare un sostegno alle donne maltrattate, facendole affiancare a madri tutor, ossia donne addestrate in modo professionale per garantire un supporto esterno.
Le madri tutor imparano come preparare le vittime su temi quali la depressione, la presenza dei figli durante il maltrattamento e, soprattutto, a difendersi.
Il loro campo d’azione non è lo sterile studio medico; infatti le madri tutor garantiscono il loro supporto a domicilio ed è proprio questo elemento che ha reso efficace il loro intervento, aiutando molte donne ad accettare un aiuto esterno e ridurre, o addirittura eliminare, il livello di violenze subite.

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Mantenere la fertilità con l’endometrosi

L’endometriosi è una malattia cronica che colpisce le donne, in quanto si tratta della presenza anomala del tessuto che riveste l’utero, appunto chiamato endometrio, in organi diversi dall’utero, quali ovaie, tube, vagina, intestino e peritoneo.

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Durante il periodo mestruale, proprio come l’endometrio presente nell’utero, esso sanguina, provando infiammazioni, tessuto cicatriziale ed aderenze. Si stima che in Italia sono 3 milioni le donne che soffrono di questa malattia e che in Europa dal 30 al 40% dei casi di infertilità sono dovuti ad essa.E’ una malattia dolorosa sia durante il ciclo mestruale che durante i rapporti sessuali; comporta infertilità, aborti spontanei,affaticamento cronico.
E’ una malattia che ancora non ha una cura con una terapia definitiva ma esistono diversi metodi di cura: terapie con androgeni, terapie che tendono alla riduzione degli estrogeni, la combinazione di pillola anticoncezionale, anello vaginale e spirale al progesterone; e la terapia chirurgica, sia laparoscopica che in laparotomia, naturalmente più invasive e con i rischi derivante degli interventi chirurgici.
Essendo un malattia che tende a essere recidiva e quindi a ripresentarsi, è importante la diagnosi precoce e la giusta terapia, anche per mantenere la capacità riproduttiva della donna che ne soffre.
Ma come può conciliarsi l’endometriosi e le sue terapia con la voglia di bebe’?
Naturalmente la terapia farmacologica comporta molti inconveniente per la donna che vuole rimanere incinta. La riduzione della presenza di estrogeni comporta una menopausa artificiale, che oltre all’impossibilità di procreare, comporta anche i tipici svantaggi legati alla menopausa; ma la ricerca può dare una speranza in più.
Infatti uno studio del San Raffaele di Milano sta portando avanti una ricerca che contrasta l’endometriosi combattendo l’infiammazione che essa comporta, cercando così di fermare lo sviluppo della malattia e tenendola sotto controllo. Inoltre sono delle terapia che non intaccano la fertilità della donna poichè non influiscono sulla funzione ovarica. Sono però ricerche che troveranno un risultato solo nel futuro, e neanche troppo vicino.
Gli interventi chirurgici, anche se invasivi e con maggiori rischi, sono anche risultati ottimi per risolvere, anche se temporaneamente, il problema; e permettere la procreazione. Inoltre i rischi della laparotomia (molto più invasiva ed ancora utilizzata solo per lesioni ed aderenze più estese) sono state diminuite con l’utilizzo della laparoscopia.

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La tecnologia che fa male alla pelle

In un’epoca in cui la tecnologia è entrata in quasi tutte le fasi della nostra giornata lavorativa e non, siamo costretti a chiederci se la tecnologia sia o meno un possibile rischio per la nostra salute e per la nostra pelle.

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Sin dall’uscita dei primi telefoni cellulari ci si è chiesti se se le onde prodotte dall’apparecchio fossero pericolose per l’uomo, ma solo recentemente ci si è chiesti se tutti i materiali venuti a contatto con la nostra pelle siano stati attentamente studiati ed esaminati, allo scopo di prevenire fastidiose e talvolta estremamente dannose reazioni allergiche o irritazioni.
Riportando i risultati di uno studio pubblicato qualche mese fa in una prestigiosa rivista internazionale di dermatologia, evinciamo che, su un campione di cinquanta modelli di telefoni cellulari, circa il 20% presentava parti metalli contenente nichel a stretto contatto con l’epidermide del consumatore.
Ma questo è solo uno dei tanti esempi di cui si potrebbe parlare. Purtroppo, ancora oggi, sia per quanto riguarda il nostro tempo libero ma anche sul posto di lavoro, siamo costretti a subire un’aggressivo inquinamento ambientale provocato dal contatto o l’inalazione di sostanze chimiche e non. E questo non è limitato ai telefoni cellulari, oggetto oramai alla portata di tutti, anche dei bambini più piccoli i quali lo utilizzano come giocattolo quando giocattolo non è.
Ciò vale anche per molti altri oggetti facenti parte del nostro quotidiano quali tablet, computer, elettrodomestici, batterie, per non parlare di ciò che respiriamo una volta messo il naso fuori di casa, fino ad arrivare ai contenitori per alimenti ed alle protesi dentarie! Insomma, una vera e propria invasione denunciata anche dalla Società italiana di dermatologia allergologica, professionale e ambientale (Sidapa).
La suddetta associazione, riunitasi in congresso, ha evidenziato dati allarmanti: ad esempio, negli ultimi dieci anni, i casi allergici riconducibili ai metalli pesanti prodotti dalle marmitte catalitiche quali ad esempio il palladio, sono aumentati di almeno dieci punti percentuali.
Allo stesso modo, si sono registrati numerosi casi di patologie cutanee e dermatiti avvenute sullo stesso posto di lavoro, situazioni in cui nel 7% dei casi, il soggetto ha dovuto lasciare la propria posizione lavorativa per grave incompatibilità con l’ambiente professionale.
Tutto ciò, incredibilmente avviene nonostante le precise direttive europee emanate nel 2009 con lo scopo di limitare la presenza di materiali nocivi quale ad esempio il nichel, in tutti i prodotti commercializzati all’interno dell’Unione Europea.
Purtroppo, queste sostanze estremamente dannose per l’organismo umano, sono ancora molto utilizzate in tantissimi prodotti di uso quotidiano, utilizzati da ogni classe sociale ed a ogni età.
La soluzione arriva dallo stesso convegno del Sidapa, suggerita dagli stessi dermatologi: monitorare con estrema attenzione le sostanze immesse nell’ambiente con lo scopo di prevedere le possibili interazioni con le sostanze già presenti, al fine di evitare ulteriori rischi per la nostra salute.
Nella speranza che i produttori abbraccino totalmente le direttive europee già promulgate.

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Giocattoli per neonati prematuri

Oggi sono molto frequenti le gravidanze che si concludono prima del termine previsto ma, come è noto, ciò può provocare disturbi neuropsichici.

neonato
Per tale motivo, data l’elevata percentuale di bambini nati prematuramente in tutto il mondo, i medici hanno deciso di tenerli sotto controllo ed osservare l’evoluzione del sistema nervoso, grazie all’uso di giocattoli intelligenti.
Questi giocattoli sono dotati di speciali sensori grazie ai quali si possono testare i progressi di ogni singolo bebè e, nel caso fosse opportuno, intervenire immediatamente.
La tempestività è importante, dal momento che un intervento mostra la sua efficacia solo durante il primo anno di vita.
Grazie ai giocatoli per bambini prematuri, si potranno ricavare informazioni come lo sviluppo dei movimenti, il numero delle prese dell’oggetto e così via.
Questi giocattoli però non sono ancora disponibili per le famiglie, siccome l’Istituto di biorobotica insieme all’Università di Lubiana ed Amburgo ed altri centri, ne stanno ancora testando la validità e funzionalità.
La sperimentazione sarà eseguita per un anno intero, trascorso il quale questi giocattoli monitoreranno lo sviluppo di tutti i bimbi nati prematuramente.

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Dove sono i migliori ospedali d’Italia

Il portale Dove mi curo, che ha valutato più di 1.200 ospedali basandosi su circa 50 indicatori di qualità, ha stabilito che si trovano in Lombardia le più eccellenti strutture ospedaliere.

ospedale

Secondo il portale Dove mi curo, sono gli ospedali lombardi ad aggiudicarsi la palma di migliori strutture ospedaliere d’Italia. Il portale, che è gestito dal dipartimento di Sanità pubblica dell’Università Cattolica di Roma, prendendo in considerazione una cinquantina di parametri per la valutazione della qualità riconosciuti a livello internazionale (come ad esempio la mortalità a trenta giorni dal ricovero per un infarto, o in seguito all’intervento di asportazione di un tumore) ha infatti sancito la netta superiorità di tre strutture della Lombardia e di una della regione Lazio, che si sono aggiudicate tutte, a pari merito, il primo posto: si tratta degli Spedali Civili di Brescia, dell’Ospedale di Magenta in provincia di Milano, del Centro Cardiologico Monzino, sempre di Milano e dell’Azienda ospedaliera S. Andrea di Roma.
Il portale ha scelto le strutture tra le 1.233 che ha recensito allo scopo di informare il pubblico sulla qualità dei servizi cura che vengono forniti. Da segnalare, inoltre, la quarta e la quinta posizione, occupate rispettivamente dall’Ospedale dei bambini V. Buzzi di Milano e dall’Ospedale città di Sesto San Giovanni.

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Bere caffè previene il tumore al fegato

Bere il caffè fa male e rende nervosi, affermano molte persone che preferiscono terminare il loro pasto con la frutta piuttosto che con questa bevanda. La realtà però è ben diversa, e gli ultimi studi hanno dimostrato che bere tre tazzine di caffè al giorno riduce drasticamente il rischio di tumore al fegato.

caffè

La ricerca, tutta italiana, è stata condotta dall’Istituto Mario Negri di Milano con la supervisione di Carlo La Vecchia, responsabile del Dipartimento di Epidemiologia. I dati poi sono stati pubblicati sulla rivista americana ‘Clinical gastroeneterology and Hepatology’ e ha evidenziato risultati sorprendenti. Bere caffè non solo riduce il rischio di tumore al fegato, ma la possibilità di incorrere nel carcinoma diminuisce addirittura del 50% se si assumono tre tazzine al giorno di questa bevanda. “La nostra ricerca”, ha dichiarato entusiasta lo stesso Carlo La Vecchia, “conferma le ipotesi già avanzate che il caffè faccia bene per la salute e in particolare per il fegato”. Un traguardo importante, soprattutto considerando che il tumore al fegato è la terza causa di morte per tumore nel mondo. Anche se, tengono a precisare gli studiosi, l’analisi è stata effettuata esclusivamente su soggetti sani. E’ vero che tre tazzine di caffè riduce il rischio di tumore, ma guai a superare questa soglia di assunzione.
Come ogni cosa infatti bisogna sapersi gestire ed evitare quindi di esagerare con la quantità di caffè. “Pensiamo che il caffè abbia un ruolo importante nella prevenzione del tumore al fegato”, ha fatto sapere Alessandra Tavani, anche lei protagonista dello studio. “Ma, in ogni caso, tale ruolo sarebbe comunque limitato rispetto a quanto si può ottenere con le correnti misure preventive”.

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Nuovi farmaci per l’autismo

Una nuova frontiera è stata superata dalla scienza. Alcuni medici hanno infatti reso noto di aver scoperto nuovi farmaci per curare l’autismo, una malattia che sempre più spesso colpisce i bambini.

autismo

Stando a recenti studi infatti è stato evidenziato come un ragazzo su 88 sia vittima di questo disturbo. L’autismo, chiamato anche Sindrome di Kanner, è una patologia cerebrale che costringe i bambini a vivere in un mondo tutto loro. Nessun contatto con la realtà, poche possibilità di stringere relazioni di amicizia, minimo interesse verso le attività svolte quotidianamente dai loro coetanei. La persona autistica, se non viene seguita costantemente da esperti, può anche dar vita a comportamenti potenzialmente ‘pericolosi’ nei confronti degli altri individui. Oggi però la scienza è riuscita a superare una nuova frontiera. “Abbiamo fatto giganteschi passi avanti”, ha dichiarato Antonio Persico, professore di Neuropsichiatria Infantile al Campus Bio-Medico. “In questo momento infatti c’è una mezza dozzina di farmaci che è in fase finale di studio”. Antonio Persico è il maggior esponente italiano all’interno dell’European Autism Interventions (Eu-Aims), la ricerca impegnata nello sviluppo di nuovi approcci terapeutici contro l’autismo. “Le nostre conoscenze scientifiche”, ha aggiunto lo studioso, “hanno finalmente raggiunto la massa critica necessaria per passare alla loro traduzione in metodi diagnostici e in agenti terapeutici innovativi”. Sono stati cioè messi a punto nuovi farmaci che dovrebbero aiutare le persone affette e afflitte dall’autismo: “In questo momento c’è una mezza dozzina di farmaci in fase di sviluppo”, ha evidenziato Persico. Questi medicinali però sono pensati esclusivamente per migliorare i sintomi cardine dell’autismo. Non si tratta cioè di cure che possono favorire la socializzazione degli autistici, né di farmaci che potranno colmare il deficit comunicativo di queste persone. “Non sono farmaci pensati per i sintomi di accompagnamento dell’autismo, come agitazione, insonnia o altro, ma queste cure ci danno davvero molta speranza”. Il vero cruccio di queste nuove medicine sta nel fatto che non possono essere utilizzate in maniera indifferente da tutti gli individui autistici. Questa malattia infatti è piuttosto eterogenea e un farmaco che funziona su un paziente non è garantito che possa funzionare anche su un altro. A chi gli chiede se la scienza potrà finalmente vincere la battaglia dell’autismo infatti, Antonio Persico risponde con grande franchezza: “Non proprio, ci sono ancora delle difficoltà. E’ necessario identificare i diversi sottogruppi di pazienti che abbiano la possibilità di rispondere al farmaco x o a quello y. Questi sono medicinali che funzionano con meccanismi di azione molto diversi”. Si rende quindi necessaria una sorta di ‘mappatura’ dei diversi sottogruppi. I medici cioè devono capire la possibilità che un farmaco possa funzionare su un determinato paziente in base alle sue caratteristiche cliniche e neurobiologiche. Solo in questo modo si potrà dare una stima abbastanza precisa della probabilità che un certo medicinale funzioni o meno su un certo malato. Ulteriori studi dunque che saranno necessari approfondire per migliorare ancora di più l’efficacia delle nuove scoperte. Il rischio infatti, qualora non venissero eseguiti esami dettagliati, è piuttosto evidente. Un farmaco potenzialmente valido potrebbe essere classificato come non-valido solo perché somministrato a un paziente ‘sbagliato’. Un paziente cioè che, a causa delle proprie caratteristiche, potrebbe reagire negativamente a quel particolare medicinale .
L’obiettivo finale è stato dichiarato dallo stesso Antonio Persico: “Bisogna trovare una risposta adeguata per ogni sottogruppo. In modo che un giorno tramite non solo l’osservazione clinica, ma anche tramite un esame del sangue o un esame neuro radiologico, saremo in grado di dire: a questo bambino serve questa terapia per questo periodo di tempo”.

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