Dentista: ci rinuncia una famiglia su tre

Una famiglia su tre non va più dal dentista. La crisi economica, oltre a far piangere il portafoglio, rischia seriamente di essere nociva anche per la salute.

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A renderlo noto è uno studio dell’Osservatorio Analisi Statistiche Amica Card. “Gli italiani hanno tagliato le cure odontoiatriche”, hanno annunciato i ricercatori. “Una famiglia su tre non porta più i figli dal dentista e le richieste di apparecchi ortodontici sono scesi del 40 per cento”. Lo studio ha evidenziato come quasi la metà degli italiani (47%), con un’età media di 30 anni, non sono più entrati in un ambulatorio dentistico nell’ultimo anno. Il 32% invece, a meno di emergenze, ha dichiarato che non ci andrà in futuro. Un drastico calo dunque che rischia seriamente di bloccare l’economia nazionale. Anche perché, fanno sapere i medici, sempre più italiani hanno deciso di rivolgersi a studi dentistici esteri: Ungheria e Romania hanno i prezzi più bassi d’Europa, mentre circa l’11% dei cittadini della penisola ha ammesso di aver provato alcune offerte dei gruppi di acquisto per cure come sbiancamento, corone dentali e pulizie dei denti. I dati sono stati resi noti in base alle prenotazioni degli italiani in oltre 3500 dentisti convenzionati, in collaborazione con l’Istituto Auxologico, gli Istituti Clinici Zucchi e l’Ospedale San Raffaele.

Come se non bastasse sembrano essere cambiate anche le abitudini degli italiani: sembra infatti che sempre più persone vogliano ricevere un preventivo prima di scegliere in maniera definitiva il dentista dal quale andare. Ecco perché sono diminuiti i pazienti a Bologna e Milano, i capoluoghi più costosi della penisola. E’ Napoli invece la città più conveniente: un’otturazione nel capoluogo campano costa 70 euro, a Milano il prezzo si impenna anche fino ai 250 euro.

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Come evitare disturbi comportamentali dei bimbi: a nanna presto

I vostri bambini sembrano soffrire di disturbi comportamentali? La soluzione è semplice: mandateli a letto presto. Non si tratta del solito ‘metodo della nonna’, ma la notizia è il risultato di uno studio condotto dalla University College di Londra.

nanna

Per evitare che i bambini siano vittime di fastidiosi disturbi comportamentali infatti è necessario farli andare a dormire presto e, se possibile, sempre alla solita ora. Gli studiosi della University College di Londra hanno infatti scoperto che mandare i bimbi a nanna a orari irregolari è fortemente legato a evidenti difficoltà comportamentali. La ricerca è stata anche pubblicata sulla rivista ‘Pediatrics’ e ha coinvolto oltre diecimila bambini in tutto il mondo. Sono stati osservati principalmente i comportamenti dei bimbi di 3, 5 e 7 anni. Coloro che vanno a letto tardi o che comunque non si addormentano sempre alla stessa ora hanno disturbi comportamentali di gran lunga maggiori rispetto ai pari età che invece conducono una vita più regolare. Il motivo è presto detto: i ragazzi che dormono poco infatti non riescono a riposarsi in maniera sufficiente e accumulano stanchezza. Restare svegli fino a tardi a guardare la tv è comunque un’opportunità che si può concedere ogni tanto ai bambini, ma non deve diventare abitudine. Dormire poco e male infatti predispone i giovani a problemi quali iperattività e difficoltà a legare con i compagni.
Gli studiosi hanno comunque evidenziato che gli effetti sono reversibili. Qualora infatti i bambini abituati a dormire a orari irregolari dovessero cambiare le loro abitudini, i miglioramenti sarebbero evidenti anche nel loro comportamento.

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Ortodonzia intercettiva con dispositivi miofunzionali preformati

Il cenacolo odontostomatologico pavese si è reso protagonista di un importante evento ortodontico, sabato 19 settembre.

Il relatore, dottor Daniele Vanni, ha tenuto una conferenza sull’ortodonzia nel bambino.

La giornata di approfondimento era inserita in una serie di quattro eventi che hanno trattato le varie discipline odontostomatologiche e forniscono 43 crediti ecm ai partecipanti.

La bellissima sede, scelta dal presidente del cenacolo Giulio Leardi per tutti gli eventi è la “Cà de Passeri” di San Genesio ed Uniti, sede che si avvale di una capiente e maestosa sala convegni.

Il dottor Vanni ha sapientemente condotto i corsisti pavesi in un cammino che, partendo dalla diagnosi, porta al trattamento dei casi ortodontici, anche i più complessi, consentendo di approcciarli con successo in fase precoce.

Sono stati presentati numerosi casi di malocclusioni trattate per lo più con dispositivi siliconici preformati prodotti dalla Myofunctional Reserch.

La giornata ortodontica ha avuto un grande successo e i corsisti hanno palesato la loro soddisfazione, trattenendosi col dottor Vanni anche dopo il corso, per approfondire ulteriormente l’argomento trattato.

Un ringraziamento va all’organizzazione nella figura di Franco Carenzio della Ciesse Pavia, che avvalendosi del supporto della Isasan ha curato tutti i dettagli logistici e clinici dell’evento.

Il relatore si è detto soddisfatto e ci aspetta per un evento analogo venerdì 6 novembre a Limena (Padova), presso la sede della dental-club.

Nuovo farmaco per i malati di tumore al pancreas

Saranno oltre 12 mila, secondo gli esperti, le persone che il prossimo anno verranno colpite dal cancro al pancreas, uno dei tumori più temuti dall’uomo. Questo male infatti affligge sempre più individui e, come se non bastasse, è difficile da individuare nella sua fase iniziale. I medici però hanno fatto una nuova importante scoperta che dovrebbe migliorare le condizioni di vita dei malati di cancro al pancreas.

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“Finalmente, per la prima volta, siamo di fronte a un sensibile passo avanti”, ha dichiarato entusiasta Stefano Cascinu, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). “La ricerca è riuscita a mettere a disposizione una nuova molecola, il nab-paclitaxel: si tratta di un punto di svolta nella terapia”. La nuova scoperta dunque garantirà maggiore speranza di vita a coloro che contrarranno un cancro al pancreas. Certo, la nuova molecola non sarà miracolosa. Ma gli addetti ai lavori sono comunque riusciti a superare uno scoglio che fino a poco tempo fa sembrava invalicabile. “Il nab-paclitaxel”, ha continuato lo stesso Stefano Cascinu, “determina un aumento significativo nella sopravvivenza a un anno se viene somministrato con gemcitabina”. Dopo anni di insuccessi dunque finalmente è arrivata una buona notizia per tutti i soggetti afflitti da questo male. Come detto però la nuova scoperta non può e non potrà fare miracoli quindi, come sempre, la prevenzione resterà l’arma più efficace per provare a contrastare il cancro al pancreas. Alcuni dati hanno rivelato come i fumatori siano sensibilmente più a rischio dei non fumatori: la possibilità che questo tumore colpisca una persona che fuma infatti è addirittura tripla rispetto a chi conduce una vita più sana. Complessivamente inoltre, tra tutti coloro che hanno contratto il cancro al pancreas, è stato calcolato che oltre il 30% dei casi sia dovuto proprio al fumo delle sigarette.
A questo proposito l’Associazione italiana di oncologia medica ha voluto promuovere una campagna di sensibilizzazione nei confronti di questa patologia. Spesso infatti le persone si sono dette disinformate a riguardo, criticando talvolta anche in maniera aspra i mezzi di comunicazione pubblica. L’AIOM ha allora preparato alcuni opuscoli informativi che verranno distribuiti ai cittadini, oltre a un sondaggio sull’argomento per gli oncologi. Presto inoltre sarà online uno specifico sito web sul cancro al pancreas, accessibile a tutti e nel quale verranno pubblicate dichiarazioni e consigli di medici e studiosi. Come se non bastasse, a partire da gennaio 2014, verrà realizzato un tour di prevenzione in nove regioni italiane. Un impegno importante dunque quello promosso dall’AIOM, come specifica il presidente Cascinu: “Ci sentiamo vicini ai cittadini. Il primo opuscolo è dedicato completamente alla prevenzione, ricco di consigli utili per imparare a seguire uno stile di vita equilibrato”. Il secondo fascicolo invece si rivolge esclusivamente a coloro a cui è stato già diagnosticato il tumore al pancreas. Si tratta di un opuscolo che mira a migliorare il rapporto tra oncologo e paziente, cercando di rendere lo specialista un vero punto di riferimento per il malato.
“Questo è lo studio di maggiori dimensioni condotto fino a oggi in pazienti con tumori al pancreas”, ha voluto commentare Michele Reni, coordinatore dell’area di ricerca clinica del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Ospedale San Raffaele di Milano. “Quello ottenuto è un risultato che apre scenari terapeutici e di ricerca decisamente interessanti”. Intanto gli oncologi hanno voluto dare qualche consiglio per prevenire questo tipo di cancro. E’ importante infatti seguire una dieta equilibrata, povera di grassi, e svolgere costantemente attività fisica.

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Rinite allergica in autunno: che fare?

La rinite allergica è una patologia infiammatoria che colpisce sempre più persone: le ultime ricerche hanno dimostrato come un italiano su sei ne soffre. E, come se non bastasse, a causa dello smog e dei cambiamenti climatici il problema sta diventando sempre più difficile da curare.

rinite

La rinite allergica comunque non è assolutamente una malattia grave. Spesso viene indicata anche come raffreddore allergico e, nella maggior parte dei casi, si sviluppa durante la primavera. Il problema però è che, rispetto al passato, molte più persone hanno cominciato a soffrire di rinite allergica anche in autunno. La causa principale è da ritrovarsi nel clima, ormai diventato mite anche durante mesi tipicamente più freddi come ottobre e novembre. Con gli irritanti pollini che iniziano a colpire le persone anche durante questi periodi. Tra i pollini più fastidiosi ci sono l’ambrosia e la parietaria: questi infatti sono così piccoli da penetrare con estrema facilità nell’apparato respiratorio e, talvolta, possono anche portare all’asma. I sintomi della rinite poi sono molto simili a quelli di altre allergie tipiche dei periodi primaverili e autunnali: si passa allora dal naso che cola al raffreddore, dagli occhi stanchi e arrossati fino alla lacrimazione continua. Niente di grave, come detto, ma la rinite è piuttosto fastidiosa, soprattutto quando poi dà origine a una forte tosse. Ecco allora che il proverbio ‘meglio prevenire che curare’ si rivela esatto in queste situazioni. Chi ha già sofferto in passato di rinite o coloro che spesso sono vittime di allergie devono adottare semplici accorgimenti, ma efficaci, per prevenire questa malattia. Innanzitutto bisogna evitare per quanto possibile il contatto con animali, i peli sono molto fastidiosi, e l’esposizione agli acari della polvere. Bisogna anche cercare di ridurre al minimo il contatto con fumatori e non si deve abusare di alcun tipo di farmaco. Ma gli accorgimenti non finiscono qui: è importante anche chiudere i finestrini dell’auto durante lunghi viaggi e si deve preferire vacanze o weekend al mare piuttosto che in campagna (qui infatti il rischio di venire a contatto con pollini è di gran lunga maggiore).
Qualora però la rinite dovesse avere il ‘sopravvento’ ci sono alcune semplici cure e rimedi da seguire per ridurre al minimo i nostri fastidi. I farmaci antistaminici e gli spray nasali sono un vero toccasana, ma anche colliri e antinfiammatori permettono di guarire presto. Per chi invece volesse risolvere il problema con rimedi naturali, ecco un piccolo consiglio: arance e salmone sono un vero prodigio. Le arance infatti sono ricche di vitamine C che riducono la reazione al polline, mentre il salmone contiene quell’Omega 3 che ha benefiche azioni antinfiammatorie. Se invece abbiamo contratto una forma più grave di rinite allergica bisogna allora rivolgersi a un medico. Il dottore infatti, dopo aver accuratamente effettuato un test cutaneo e un esame del sangue, saprà fornirci i rimedi migliori per tornare in salute.

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Attenzione ai rischi del filler

Fissate con l’aspetto estetico, dipendenti dal ritocchino, facilmente seducibili dai meravigliosi effetti del botulino: donne attenzione!!! Alcuni dei dermatologi più illustri in Europa metto sotto accusa i filler e tutte le sostanze iniettate sotto pelle per ottenere pelli levigate e seducenti. Al congresso dell’Eurpean Academy of Dermatology and Venereology, infatti, svoltosi nella prima settimana di ottobre ad Istandul, i dermatologi riuniti per l’occasione hanno puntato il dito contro tutte quelle sostanze che quotidianamente vengono utilizzate come riempitivi sottocutanei, finalizzati all’eliminazione delle rughe ed al ridimensionamento di bocca e zigomi.
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I rischi imputabili a queste sostanze sono numerosi quanto spaventosi: si parte dai granulomi ed alla comparsa di microorganismi definiti biofilm al di sotto dei primi strati della pelle, per finire alla comparsa di noduli che potrebbero trasformarsi in tumori. A questi si sommano le alte percentuali di presenze di infezioni e cicatrici, soprattutto nei casi di interventi frequenti e ravvicinati. Nella zona della bocca, infine, è possibile assistere alla creazione di veri e propri solchi capaci di far scivolare la bocca realizzando sul volto della paziente la formazione di creste inverosimili, antiestetiche e grottesche.
Una vera e propria guerra, quindi, quella iniziata dai dermatologi del congresso contro l’iniezione di sostanze riempitive e leviganti, nell’ambito di una chirurgia estetica definita soft, ma assolutamente non priva di rischi, al pari di interventi più complessi e particolareggiati. Proprio per questo gli esponenti della dermatologia prendono una netta distanza da questa definizione, che rischia di indurre il paziente a richiedere interventi spesso pericoli a cuor leggero.
Ilaria Ghersetich, docente di dermatologia estetica presso la sede universitaria di Firenze, dà conto circa l’esistenza di più di cento tipologie differenti di riempitivi venduti ed utilizzati in Europa. Molti di questi, pur essendo commercializzati, non garantiscono una qualità ottimale ed entrano facilmente nel commercio per scomparire dopo pochi mesi. Il danno compiuto in questo breve periodo, però, può recare serie conseguenze ai pazienti sui quali sono stati iniettati i prodotti, oltre che all’immagine della dermatologia estetica europa nel resto del mondo.
I rischi legati a queste sostanze sono generalmente rari, soprattutto per quelle finalizzate al riassorbimento all’interno dell’organismo. Lo stesso rischio tende ad aumentare e ad aggravarsi nel momento in cui si preferisce utilizzare sostanze di origine sintetica, che impiegano più tempo ad essere assorbite e, quindi, rimangono per più tempo all’interno del tessuto. Pertanto è opportuno e quanto mai necessario stipulare e far rispettare adeguati protocolli d’intesa fra i vari esponenti di questa branca della medicina, al fine di garantire ai pazienti la possibilità di affidarsi a mani esperte e seriamente preparate.

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Combattere l’obesità eliminando lo stress

L’obesità è il male dell’occidente, cattive abitudini alimentari hanno infatti portato questa patologia ad essere tra le prime cause di morte nel mondo “ricco”. Quali le cause e i rimedi?

obesità

Proprio perché un problema frequente che porta anche a spese per il sistema sanitario, molti Paesi stanno cercando di porvi rimedio e quindi gli studi in materia abbondano. E’ bene sottolineare che spesso si parla di obesità in modo improprio, si verifica la condizione clinica di obesità quando il peso è il 60% più elevato rispetto al peso forma, nel caso di un 100% abbiamo obesità grave. In Italia vi sono circa sei milioni di obesi e tra essi la maggioranza è di sesso maschile.
Una delle ricerche portate avanti per molto tempo ha riguardato il fattore genetico, ma ad oggi si è rilevato come questo abbia un’incidenza solo del 5% dei casi di obesità e si tratta soprattutto di disfunzioni ormonali, il fatto che si possono notare più persone di una stessa famiglia obese è legato alla trasmissione negli stessi nuclei di cattive abitudini alimentari.
La strada molto percorsa di recente nello studio dell’obesità è legata invece al fattore stress.
Lo psicoterapeuta Giovanni Porta afferma che nell’obesità c’è una forte incidenza di fattori psicologici che portano a sviluppare una vera e propria dipendenza dal cibo. Questa dipendenza diventa poi una specie di vortice in cui gli obesi vengono risucchiati perché inizia una sorta di reazione a catena. Stress e frustazioni varie portano all’obesità, questa a sua volta porta ad insoddisfazione di sé, insicurezze e quindi ad una vita relazionale poco gratificante. Proprio per questi motivi gli obesi tendono ad isolarsi e questo diventa un’ulteriore causa di stress ed aumenta la dipendenza dal cibo. Qual è la soluzione?
Secondo lo psicoterapeuta Giovanni Porta la concomitanza tra l’aiuto di uno psicoterapeuta e un nutrizionista può aiutare a recuperare l’equilibrio e perdere peso. Lo psicoterapeuta deve aiutare a rompere il circolo vizioso, ovvero ad entrare in contatto con le proprie emozioni e a condividerle per evitare di trovare risposta ai propri bisogni emotivi nel cibo. D’altronde il sollievo offerto dal cibo è effimero e di breve durata e ciò induce ad una continua ricerca di cibi dolci e gratificanti.
Non è questo l’unico studio che associa l’obesità allo stress, infatti, gli scienziati della Rockfeller University a New York hanno ipotizzato che in tale meccanismo sia coinvolto anche il cervello perché, subendo stress eccessivo, si restringe l’ippocampo, l’area del cervello dedicata alla memoria, e quindi vengono dimenticate le buone regole legate ad una sana alimentazione e alla necessità di fare movimento. Ciò comporta una maggiore produzione di cortisolo, un abbassamento delle difese immunitarie ed occlusione delle arterie.

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Chi è depresso rischia di più il morbo di parkinson

La depressione è la malattia del nuovo millennio. Dichiarata da più fonti attendibili come il male da sconfiggere, rende l’individuo inerme a qualsiasi reazione. La perdita di interesse o di piacere nelle attività normalmente piacevoli , o la perdita di autostima, sono alla base di questa dannosa patologia.

depressione
In particolar modo si pone l’attenzione sull’impatto che ha la depressione con la malattia denominata morbo di Parkinson. Dalle ultime ricerche effettuate, sia negli Stati Uniti D’America presso l’Università della Florida a Gainesville, che al General Hospital di Taipei a Taiwan, escono dei dati allarmanti. L’impatto della malattia depressiva nel morbo di Parkinson raddoppia rispetto a quello dei problemi di movimento e motori articolari. Come afferma lo studioso americano Michael S. Okun, direttore medico del National Parkinson Foundation, circa il 50% delle persone che hanno il Parkinson soffrono di depressione. I ricercatori universitari dell’università della Florida infatti, hanno condotto una ricerca accurata su circa 5.500 pazienti, di età compresa tra i 25 e i 95 anni. Si sono recati in 20 centri specialistici in Canada, negli Stati Uniti, in Israele e nei Paesi Bassi. Sono state eseguite circa 9.000 visite cliniche; e hanno esaminato le informazioni sui farmaci, i tassi di depressione e ansia, ed altre informazioni. Si è giunti, dopo anni di ricerca, alla conclusione che il legame fra le due malattie è di elevatissima incidenza. Gli studi, a detta del direttore del centro Michael Okun, continueranno in maniera meticolosa e specifica, ponendo in tal modo le basi ad una possibile cura parziale e successivamente definitiva.
Come detto, lo studio in oggetto è stato condotto anche nel centro specialistico del Veterans General Hospital di Taipei a Taiwan. Come per la precedente ricerca effettuata negli Stati Uniti, anche qui i ricercatori sono giunti alla conclusione che, un soggetto depresso , ha un rischio decisamente elevato di sviluppare la malattia neuro degenerativa di Parkinson. Si può addirittura arrivare ad un rischio tre o quattro volte superiore rispetto a pazienti che non sembrano avere perdita di autostima e di consapevolezza dei propri mezzi. Gli studiosi cinesi, hanno utilizzato un percorso di analisi e ricerca durato ben 10 anni. Anche in questo studio specifico sono stati utilizzati pazienti affetti e non da depressione, e si è giunti alla conclusione che l’incidenza del morbo depressivo ha un influenza enorme sulle probabilità di un futuro anomalo e del rischio di poter esser affetti dalla degenerazione motoria derivante da Parkinson. Una soluzione che comunque potrebbe alleviare questa pena, secondo i medici del General Hospital di Taipei, e dell’ Università della Florida, è il continuo esercizio fisico giornaliero. 2 ore circa di allenamento motorio ogni giorno, ridurrebbe parzialmente questa degenerazione neurale e porterebbe la fase depressiva in netto calo.

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I contraccettivi ormonali migliorano l’umore

Molte donne che utilizzano contraccettivi esprimono soddisfazione per i vantaggi che questo tipo di farmaco porta, come il miglioramento della vita sessuale o la riduzione dei disturbi legati al ciclo mestruale. I contraccettivi a base di ormoni (tra i più conosciuti la cosiddetta pillola o i cerotti anticoncezionali), oltre alle funzioni per le quali sono stati studiati, potrebbero però migliorare anche l’umore delle donne che li assumono.

pillola

Secondo uno studio condotto dalla statunitense Mailman School of Public Health della Columbia University infatti questo tipo di contraccezione non sarebbe correlato all’aumento della depressione nelle donne di giovane età, ma anzi agirebbe in senso posto, rendendo migliore l’umore delle utilizzatrici.
Quattro indagini diverse svolte nell’arco di quattordici anni (tra il 1994 e il 2008) su un campione di donne della fascia di età dai venticinque ai trentacinque anni che utilizzano diversi sistemi di contraccezione (sia ormonali che non ormonali), hanno evidenziato che le donne che utilizzano contraccettivi ormonali adottano più spesso comportamenti che si possono definire salutari, come la pratica di un’attività sportiva e la rinuncia al fumo ad esempio e appaiono nel complesso più giovani rispetto alle altre donne intervistate.
Nelle donne che utilizzano contraccettivi ormonali i ricercatori hanno evidenziato che la presenza di depressione è inferiore del 32 per cento rispetto al resto del campione, mentre la tendenza suicida sarebbe inferiore del 63 per cento rispetto alle altre donne intervistate.
I ricercatori sono quindi giunti alla conclusione che la contraccezione ormonale potrebbe avere effetto sui cambiamenti di umore legati al ciclo mestruale, e sull’umore in generale delle donne secondo un meccanismo di funzionamento ancora non chiaro, che deve quindi essere indagato per essere compreso nella sua totalità.
Di conseguenza sono stete programmate ulteriori ricerche che consentiranno di analizzare a fondo questo meccanismo, che se rivelato nel suo funzionamento potrebbe portare a un cambiamento significativo per la vita di molte donne soggette a depressione o a tendenze suicide che oggi non ritengono necessario o opportuno per il proprio stato fisico l’utilizzo di contraccettivi ormonali.
Rimaniamo in attesa di scoprire cosa riveleranno queste ulteriori ricerche e quali altri passi importanti aiuteranno a compiere alla ricerca medica.

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Nuovi scenari per la Sclerosi Multipla

La Sclerosi multipla colpisce ogni anno oltre 2000 italiani ed ad oggi sono circa 68000 i cittadini italiani, di cui circa il 75% sono donne, che hanno dovuto fare i conti con questa terribile patologia. Tuttavia all’orizzonte sembra esserci uno spiraglio di luce e a confermarlo è il dottor Giancarlo Comi direttore dell’Istituto di neurologia sperimentale Inspe del San Raffaele, da sempre in prima linea nella lotta contro la Sclerosi Multipla.

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Comi spiega come, sebbene ad oggi sono ancora sconosciute le principali cause del sorgere della malattia, si sono fatti degli importanti passi in avanti dal punto di vista clinico e terapeutico. Il primo importante passo in avanti è rappresentato dal crescere del numero di trattamenti disponibili per affrontare la sclerosi multipla. Ogni tipologia di trattamento infatti può affrontare la malattia in uno stadio diverso ed è inoltre dotato di una diversa potenza e tollerabilità per il paziente. Si intende dunque che avere a disposizione più trattamenti significa semplicemente avere più armi per combattere il nemico Sclerosi Multipla. La crescita del numero di trattamenti è ovviamente dovuta agli ampi progressi fatti in campo farmacologico negli ultimi anni. Il dottor Comi spiega infatti che da circa un anno è arrivato in Italia il farmaco Fingolimod che, assunto per via orale, permette di controllare i linfociti, le cellule bianche del sangue, che nel caso della Sclerosi Multipla impazziscono letteralmente e vanno a colpire il sistema nervoso. Altro farmaco di grande potenza è inoltre l’Alemtuzumab che distrugge la maggior parte di linfociti e il cui dosaggio ovviamente va controllato attentamente in quanto gli effetti collaterali sono molti: uno tra tutti i danni alla tiroide.
Insomma lo scenario sembra essere incoraggiante e l’avvento di nuove cure potrebbe ulteriormente indebolire quella che ad oggi è una patologia che spaventa. La componente fondamentale nella lotta alla Sclerosi Multipla però, sottolinea ancora Comi, oltre che lo sviluppo si chiama organizzazione. E’ fondamentale infatti che ci sia un’adeguato utilizzo degli strumenti e dei farmaci, si sta inoltre lavorando alla costruzione di centri che possano essere dei veri e propri punti di riferimento per il paziente in tutta Italia. Ad oggi si può tranquillamente dire che i risultati sono buoni anche sotto questo punto di vista in quanto in Italia sono presenti oltre 200 centri dove il paziente può essere seguito da medici esperti che controllano costantemente l’evolversi dei trattamenti.

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